Addio choc di Cicinho «Distrutto dall'alcol»
Il terzino: birre senza sosta e la droga mi tentava
Cicinholo ha fatto e lo ha detto. Il danno, ormai, è irreparabile e allora tanto vale liberarsi la coscienza. Il terzino lascia la Roma - il ricco contratto quinquennale scade il 30 giugno - e racconta la sua vita sregolata degli ultimi anni. Birre a ripetizione, la tentazione della droga, il disamore per il calcio e un cammino evangelico iniziato per redimersi. «Andavo a Trigoria - racconta il brasiliano da Pradopolis, la sua città - mi allenavo ma sapevo che la domenica non avrei giocato. Allora quando arrivavo a casa bevevo molto e fumavo. Due, tre casse di birra e altri alcolici, da solo o insieme a falsi amici». Il periodo peggiore a Roma in compagnia di Adriano con la barca dell'«Imperatore» ormeggiata a Ostia, il rifugio perfetto per i festini dove arriva di tutto. «Mi piaceva andare in discoteca - dice ancora Cicinho alla tv brasiliana R7 - non ho usato la droga solo perché sapevo che c'erano i controlli anti-doping. L'alcool ti porta su quella strada: è la peggior droga che esiste al mondo». Delusioni sportive, due infortuni gravi, problemi familiari: così Cicinho è passato dalla maglia da titolare con Real Madrid e Brasile alla tribuna dell'Olimpico, mentre fuori dal campo si distruggeva. La Roma ha cercato in tutti i modi di venderlo. Prima il prestito al San Paolo, poi al Villarreal, stesso finale: rispedito a Trigoria. Luis Enrique ha provato a rilanciarlo ma a un certo punto si è arreso anche lui. «Quando ero al San Paolo ho pensato di lasciare il calcio, stavo a pezzi». L'incontro con Marry, la donna che è diventata da poco la sua seconda moglie, ha cambiato qualcosa. Insieme a lei ha iniziato un cammino evangelico frequentando una chiesa nellaCapitale e adesso Cicinho si sente una persona migliore. In Brasile ha giocato una partita di beneficenza con vecchie glorie, tra cui Careca, ora aspetta un'offerta. «Voglio continuare a giocare, il mio agente sta vedendo se in Brasile o in Europa. Farò quello che Dio vuole. O continuerò a giocare a calcio oppure andrò avanti nel mio cammino di evangelizzazione». Problemi suoi, pensa la Roma: undici milioni per il cartellino e quasi venti milioni spesi in cinque anni per il suo ingaggio sono stati un aiuto più che sufficiente.