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Simone Pieretti Allenatori sull'orlo di una crisi di nervi.

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Sene va Guardiola dal Barcellona, Luis Enrique abbandona la Roma, minaccia di farlo anche l'allenatore dell'Udinese Francesco Guidolin. appena sotto il traguardo, e dopo aver ottenuto la qualificazione per il preliminare di Champions League. Eppure c'é chi, in panchina ci resterebbe una vita. «Io allenerei fino a ottant'anni». Parole e musica di Zdenek Zeman, allenatore del Pescara, squadra prima in classifica in serie B. Il boemo adora il suo lavoro, ama ascoltare la sinfonia corale della sua squadra. Il calcio non lo ha mai stressato perché il risultato può essere casuale, la prestazione mai. «Capisco che il calcio possa anche essere fonte di stress - continua Zeman - in alcune piazze ci sono pressioni, io però non sono stressato. Il calcio sotto questo aspetto non mi ha mai dato problemi. Io alleno anche perchè mi diverto. Se fosse per me continuerei ad allenare fino ad ottant'anni, ma lo so che non sarebbe possibile e non me lo permetterebbero. Fare il direttore tecnico? Non sarebbe proprio la stessa cosa». Lo stess mangia i nervi, ti consuma, ti rende vuoto. Ti disconnette, mandandoti in orbita. Per questo, dopo anni di ribalta, gli allenatori si fermano, prendono una vacanza, o semplicemente un anno sabbatico. Era successo anche a Fabio Capello, primo - e fin qui unico - allenatore italiano a sedersi sulla panchina della nazionale inglese. È successo a Sacchi - a metà del guado - quand'era a Parma. Tachicardia, attacchi di panico, un malore in panchina durante la partita contro il Verona: il vate di Fusignano decise di metter fine alla sua carriera di allenatore in un'area di servizio dell'autosole, dopo aver rischiato perfino un incidente. Rinunciò a 9 miliardi di vecchie lire pur di tutelare la sua salute, pur di proteggere la sua fragilità emotiva. Aveva vinto tutto, aveva scritto la storia. Non aveva necessità professionale ed economica di andare avanti. E che dire di Delio Rossi? Amabile cristiano, uomo generoso, fautore di beneficienza in totale anonimato. Eppure sopraffatto dalla tensione nervosa fino al punto di menare le mani contro un suo giocatore. Panchine bollenti. Sempre più difficile gestire uno spogliatoio, una squadra, oltre venticinque persone con altrettante teste pensanti. O probabilmente anche qualcuna in meno. Stress, un male comune. L'allenatore della Lazio Reja in quest'avventura romana ha rassegnato le proprie dimissioni quasi mensilmente: puntualmente rientrate. La pressione fa brutti scherzi. Ancelotti decise di fermarsi un anno dopo l'esonero dal Chelsea, per poi cedere alle lusinghe di Leonardo e del Psg. Stessa sorte per l'olandese Van Gaal. Stress da panchina. Come quello di Ulivieri, oggi presidente dell'Assoallenatori, e all'epoca dei fatti tecnico del Napoli. Napoli-Pescara, un malore durante la partita, e la decisione di salutare tutti. Ritemprato dal prolungato riposo, oggi la vede in maniera differente: «Credo che i lavoratori siano maggiormente stressati - afferma - nel calcio é indubbio che ci sia stress, ma ritengo che ne abbiano maggiormente i senza lavoro, e i cassaintegrati». Come dargli torto?

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