di Nicola Imberti Lacrime e gioia.
Soprattuttoquando arriva uno scudetto che è il frutto di una stagione straordinaria dopo anni di inferno. Ma le lacrime dello Juventus Stadium, quelle che segnano l'ultima partita di campionato della squadra di Antonio Conte, non sono solo di gioia. Anzi. E la festa, quella per i «30 scudetti sul campo», quella per la «terza stella» che fa bella mostra di sé sugli striscioni dei tifosi, si vena di tristezza. Non è solo il pianto di Giorgio Chiellini che lascia il campo facendo capire che il suo infortunio gli scipperà, forse, la finale di Coppa Italia e gli Europei. Quelli che rendono il giorno del trionfo un giorno amaro, sono gli occhi lucidi di Alessandro Del Piero. Il fascicolo preparato dall'ufficio stampa della società con numeri e curiosità (lo stesso in cui si spiega che la Juve è «aritmeticamente campione d'Italia per la 28ª volta») non usa mezzi termini: «La Juventus saluta con la gara odierna, almeno per quanto concerne le partite ufficiali a Torino, Alessandro Del Piero, la bandiera del club bianconero». John Elkann chiarisce il concetto: «Come tutti i campioni, sa qual è il momento in cui uno si deve fermare». Una bandiera che viene ammainata al 12' del secondo tempo quando Conte decide di sostituire il capitano con Simone Pepe. La partita è sul 2-0, Alex ha segnato il secondo gol. Il terzo del suo campionato, tutti realizzati in casa, davanti al pubblico bianconero. L'ultimo regalo. Appena il quarto uomo alza la lavagna luminosa tutto si ferma. Del Piero raggiunge il centro del campo, i compagni gli stringono la mano, lo abbracciano. Anche gli avversari. Lui alza le braccia al cielo e si inchina. Lo spettacolo è finito. Non per sua volontà, ma è finito. A quel punto guadagna la panchina mentre lo stadio, in piedi, intona «c'è un capitano, c'è solo un capitano». È il coro di speranza di chi vorrebbe che non finisse qui e che, cantando, chiede «un anno ancora». Ma è troppo tardi. La partita riprende, solo virtualmente. I tifosi invocano Del Piero sotto la curva. Lui prima si alza e raccoglie l'ennesima standing ovation, poi, visibilmente commosso, parte per il giro di campo. Nel frattempo l'Atalanta prende anche un palo. Non importa, gli occhi sono tutti fissi sul capitano. Che a settembre del 2013 avrebbe festeggiato 20 anni in Serie A con la maglia bianconera (esordio nel 1993, Foggia-Juventus 1-1). Non sarà così. L'addio si conclude con un abbraccio un po' freddo con Conte. Sugli spalti in tanti piangono e per un attimo è come se lo scudetto passasse in secondo piano. Ovviamente non è così. Il cronometro si avvicina al 90'. Un messaggio registrato chiede a tutti di rimanere al proprio posto, nessuna invasione di campo. Così succede. La partita finisce e sancisce l'imbattibilità della squadra di Conte in Campionato. Viene in fretta montato il palco per la premiazione. Lo speaker dà la parola ad Andrea Agnelli che ringrazia chi, pur non giocando, ha reso possibile questo successo. Ad un certo punto la sua voce scompare sommersa dal coro «un capitano, c'è solo un capitano». Messaggio chiaro che, però non viene recepito. Seguono gli applausi per l'Atalanta, i fischi per il presidente della Lega Calcio Maurizio Beretta, non troppo amato da queste parti. E poi la passerella dei giocatori. L'ultimo a entrare in campo è ovviamente il capitano. Lo stadio è nuovamente in piedi. Del Piero abbraccia la moglie, i tre figli e si dirige verso i compagni. Medaglia d'oro al collo. La coppa della Serie A alzata verso il cielo. Parte «We are the champions», fuochi d'artificio e coriandoli bianchi, bandiere che sventolano, esplode la festa. Che dallo Juventus Stadium si sposta nelle vie di Torino dove i giocatori sfilano con un bus scoperto circondato dai tifosi. È una domenica di maggio, ma non c'è sole ad illuminare questo scudetto. È pur sempre una festa con un retrogusto amaro.