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Sogni e rimpianti, si chiude l'era Reja

Reja

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Domenica 13 maggio si chiuderà la parentesi di Edy Reja sulla panchina della Lazio. A meno di clamorosi ribaltoni, succederà con un pizzico di amarezza che non rende merito all'operato del tecnico che ha raccolto una squadra in zona retrocessione e l'ha riportata in Europa. Il suo regno è durato ventisette mesi. Non poco per chi doveva solo risolvere un'emergenza e poi ha aperto un ciclo. Oltre due anni in cui Reja ha vinto, tanto, ed è stato fischiato, altrettanto. Nel suo periodo laziale ha dimostrato di avere una dote su tutte: farsi amare dai giocatori. Al suo arrivo lo spogliatoio della Lazio era disastrato, da quando c'è stato lui non si è visto più uno screzio, una reazione scomposta a un cambio, una dichiarazione fuori spartito. Non è un caso se nei due casi in cui quest'anno il tecnico ha rassegnato le dimissioni, siano stati proprio i giocatori a farlo tornare indietro. Un patto di ferro che, sul campo, ha prodotto risultati straordinari: 146 punti in 89 partite di campionato, media di 1.64 a gara. Ed è qui che si registra il primo paradosso. PerchéReja, al momento, ha fatto meglio nella sua prima stagione in biancoceleste (24 punti in 15 partite, media di 1.6) che in questa (56 punti dopo 36 giornate, media di 1.55). Meglio, cioè, senza Hernanes, Klose, Lulic o Marchetti. Come se, al di là degli uomini, oltre una certa soglia il tecnico non sappia andare. Una tendenza confermata da tutte le occasioni in cui la Lazio ha avuto la chance di fare il salto di qualità e l'ha fallito. Nelle ultime 5 partite la Lazio ha raccolto 2 punti, frutto anche di scelte poco coraggiose del tecnico: il terzo difensore inserito contro il Lecce una volta in vantaggio, le partite troppo attendiste a Novara e Udine. Un film già visto l'anno scorso, quando dopo la vittoria a Catania la Champions sembrava fatta e poi svanì. Un ruolo determinante l'hanno recitato il mancato mercato di gennaio e l'emergenza infortuni. Ma in questo secondo caso la responsabilità è da addebitare allo staff tecnico: pochi quelli traumatici (casuali), troppi quelli muscolari, con cause nella preparazione. Il fiato corto della squadra è stato insieme causa e conseguenza di quanto accaduto. E alla fine l'obiettivo Champions, quello dichiarato a inizio stagione, è stato fallito. Il primo fallimento della Lazio di Reja: al primo anno gli era stata chiesta la salvezza e l'aveva ottenuta, idem per il piazzamento tra le prime otto dodici mesi dopo. È anche per questo che la sua esperienza a Formello si sta per chiudere. Anche, ma non solo: a determinare l'addio sarà soprattutto il rapporto incrinato con Lotito. Qualche disaccordo era nato già in estate, il flop di gennaio ha fatto traboccare il vaso. Da quel momento Reja si era schierato apertamente contro la società, guadagnandosi l'affetto del pubblico ma segnando il suo destino. Lotito, che in passato aveva sempre difeso il suo tecnico, ha così deciso di voltare pagina. Due stagioni in fotocopia possono bastare, il futuro dovrebbe avere le sembianze di Gianfranco Zola. Una suggestione, un'idea affascinante, una scommessa. L'unica cosa certa è che il sardo, o chi per lui, ripartirà da una base molto più solida rispetto a quella che Reja trovò il 14 febbraio 2010.

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