Il risultato dice pareggio, l'ambiente sconfitta.

Tregiorni dopo la sconfitta con la Fiorentina lo stadio continua a sfogare il suo dissenso contro la squadra e Luis Enrique. Stavolta tutto è iniziato e si è chiuso dentro lo stadio, senza appostamenti all'esterno. Uno striscione di protesta («Anche se ormai è segnata la vostra sorte, per la Roma canteremo fino alla morte») comparso in Sud prima della partita, un altro a favore di Luis Enrique strappato in curva Nord da un gruppo di «dissidenti», i fischi durante il riscaldamento e alla lettura delle formazioni, con il volume alzato per l'allenatore e il solo Totti risparmiato, poi i cori durante la gara, interrotti solo nel finale di primo tempo, con la Roma in vantaggio. «Mercenari», «tifiamo solo la maglia», «ci avete rotto il c...» sono le note che hanno accompagnato gran parte della ripresa, quando il Napoli si era preso di prepotenza la partita e i giallorossi sembravano incapaci di reagire. Non è bastato il gol di Simplicio e il punticino conquistato a calmare gli animi. «La Roma sotto la curva» il grido partito al triplice fischio di Rizzoli. E la Roma, tranne rarissime eccezioni (Heinze e Bojan), si è presentata, Totti in testa, per prendersi gli insulti dei tifosi. Una scena forte, già vista più volte in questo stadio, con le urla rivolte al capitano che ha ascoltato in silenzio. Luis Enrique non c'era, la Sud non ha gradito e lo ha fatto notare all'allenatore. Il feeling si è rotto e lo spagnolo è costretto a riflettere sul suo futuro: «Andrò via quando la gente non mi vorrà» ha ripetuto più volte. Di sicuro aumentano «quelli che non lo vogliono». Uno di loro lo ha urlato ieri a Baldini in tribuna autorità, proprio mentre la squadra si beccava gli insulti sotto la curva. «Piuttosto vado via io» la risposta del dg che a liquidare l'asturiano non ci pensa proprio. «È il nostro allenatore - spiega Baldini - crediamo in lui perché se lo merita: ha diritto di restare almeno un'altra stagione per dimostrare il suo valore. Cosa manca a Luis Enrique? I giocatori che servono al suo gioco, ma la proposta è buona e spesso ci viene riconosciuta dagli avversari. In molti parlano bene di lui: o sono tutti laziali oppure qualcosa vorrà pur dire». Ma l'allenatore non è più sicuro di voler restare. «È molto provato, è la sua prima esperienza con una grande squadra, però abbiamo rimandato a fine campionato l'analisi di tutti i problemi e le soluzioni degli stessi». La Roma continua a stentare, ad alternare momenti positivi e black out totali. Un problema mentale secondo Baldini, che usa una similitudine efficace per spiegarlo. «I giocatori credono in quello che l'allenatore gli dice, ma è come quando si va sciare: in discesa si prende velocità, poi si ha paura di non farcela e ci si mette all'indietro per non rischiare. Con il Napoli la squadra ha avuto paura di vincere, il modo in cui hanno reagito per il pareggio, però, teniamolo ugualmente in conto». L'ambiente inferocito non aiuta un gruppo pieno di blocchi mentali a uscire fuori dalla crisi. «I giocatori risentono di una pressione piuttosto importante. Ma questa piazza non è così difficile, anzi è più pronta delle altre per una proposta nuova. Le contestazioni a Trigoria, quelle vere, io le ho vissute. Ora ho visto una contestazione con uno striscione, una cosa civile. I giocatori sono andati sotto la curva perché devono prendersi le responsabilità, Totti ci ha messo la faccia e dobbiamo ringraziarlo». L'Europa si allontana, i programmi si allungano. «Noi vogliamo il risultato finale, l'Europa non l'avevamo prevista sin dall'inizio e non cambierà gli investimenti. È chiaro che se fossimo arrivati in Champions significava più facilità di investimenti». Invece toccherà agli americani aprire il portafogli.