Lacrime e sospetti
Il giorno delle lacrime, del dolore, dell’ultimo saluto a un ragazzo di venticinque anni strappato alla vita da un destino maledetto . Ma è anche il momento delle domande su che cosa si possa fare per evitare altri casi Morosini mentre Zeman alimenta sospetti bissando la celebre frase di 14 anni fa sulle farmacie negli spogliatoi. Ma andiamo con ordine perché prima di tutto c’è Piermario, il suo dramma e la voglia del mondo del calcio di volergli sussurrare «addio». Alla fine ieri sono cinquemila tra tifosi, calciatori, amici e, su tutti, la fidanzata Anna (inconsolabile) e lo zio dello sfortunato ragazzo del Livorno. Un lunghissimo applauso della folla ha accompagnato l'uscita del feretro coperto dalla maglia numero 25 del Livorno subito dopo i funerali a Monterosso, paesino vicino a Bergamo. Poi il coro dei tifosi: «Mario uno di noi». Durante la messa le parole di don Remo Luiselli hanno ricordato le giornate trascorse da Morosini con i ragazzi dell'oratorio. «Quando uno ha una carriera davanti come aveva Piermario forse si sente 1-2-3 gradini più in alto rispetto agli altri. Mario no, quando veniva all'oratorio si metteva a giocare con i bambini di sei anni. C'era una cosa che non gradiva, che gli venisse ricordato il dramma di suo fratello, i problemi della sorella e il fatto che fosse rimasto orfano molto giovane, si capiva che gli apriva la ferita che aveva nel cuore». Incredibile e non sono le solite frasi di circostanza che si dicono dopo la morte di una persona. Morosini era tutto questo e ieri c’erano proprio tutti dai presidenti di Figc e Lega di A Abete e Beretta, a quello dell'Assocalciatori Tommasi. E poi i cittì delle nazionali Prandelli e Ferrara, i tecnici Donadoni, Sonetti, l’ad della Juve Marotta, giocatori e dirigenti di Udinese, Atalanta e Livorno (quest’ultimi non vorrebbero giocare il proseguimento della partita di Pescara ma lo 0-3 a tavolino falserebbe il campionato). Un dolore trasversale così come le sciarpe di quasi tutte le tifoserie italiane a dimostrare che il dramma di Morosini ha colpito i cuori di tanti. E non potevano mancare anche due canzoni di Ligabue «Il giorno di dolore che uno ha» e «Non è tempo per noi» a riecheggiare nella chiesa stracolma. Proprio il presidente Abete ha ribadito la volontà di allargare l’uso dei defibrillatori che a detta del perito della famiglia Cristiana Basso poteva salvare Morosini: «Ha avuto delle probabili aritmie e forse in quel caso con l'uso di un defibrillatore avrebbe avuto qualche chance in più». Il numero uno della Figc conferma: «Bisogna aumentare i defibrillatori a disposizione per rispondere alle esigenze immediate in campo. In Italia ci sono 71 mila squadre serve uno sforzo in più per l'immenso mondo dei dilettanti e delle giovanili». Il cittì Prandelli conferma: «Riflettiamo sulla tragedia di Morosini, il calcio ha l'obbligo di porsi seri interrogativi». Sui controlli e anche su altri argomenti scottanti. E tanto per non farsi mancare nulla ecco la voglia di Zeman di riaprire il fronte dei sospetti bissando la famosa frase di quindici anni fa: «In effetti noto ancora che ogni giorno escono nuovi tipi di medicinali e tantissimi integratori, spero che non facciano male alla salute. Non credo che il calcio sia uscito completamente dalle farmacie». Ancora lo spettro del doping che aleggia sul mondo del calcio nonostante l’Italia sia all’avanguardia nei controlli grazie al Coni. Da stasera si torna a giocare e, per non far diventare Morosini solo un altro giocatore morto sul campo, serviranno fatti e non parole. Basta ipocrisie e lacrime di coccodrillo, c’è bisogno di intervenire in fretta per non piangere altri ragazzi morti facendo sport.