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«Il punto più basso della stagione».

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Lamazzata di Lecce fa male, ancora più di quelle già prese a Firenze, Cagliari e Bergamo, perché arriva al termine di una settimana in cui ci si era convinti di poter davvero rincorrere un posto in Champions League. E invece si torna al solito punto, alla rassegnazione per una Roma incapace di diventare grande. Luis Enrique ha capito subito come sarebbe andata a finire. Incassato il primo gol di Muriel, si è messo a sedere in panchina e non si è alzato più. Nessuna indicazione tattica, nessun segnale di speranza, zero sostituzioni. È stato un modo per dire alla squadra: siete i responsabili di questa figuraccia e la farete fino in fondo. A dire il vero, non che avesse chissà quali cambi a disposizione, escluso un Pjanic da preservare. Nel comportamento dell'allenatore più di qualcuno ha individuato una resa e puntuale è scattato il tam-tam al termine della gara: Luis Enrique si è dimesso.Falso. «Non mi è mai passato per la testa» ha tagliato corto lo spagnolo che prima di presentarsi davanti alle telecamere ha parlato con Sabatini per concordare una linea. Pubblicamente l'allenatore non ha infierito sulla squadra pur sottolineando tutti i suoi limiti, i dirigenti ci sono invece andati giù duri come mai prima, l'unica voce dello spogliatoio è stata quella di Heinze dopo un confronto tra senatori e giovani con rimproveri ai secondi. «È difficile parlare di cose buone dopo una partita così. Non me l'aspettavo - l'attacco di Luis Enrique - era importantissima, ma dopo il primo gol per noi è finita, morta». Un film che si ripete. «Ognuno interpreta il calcio con la sua personalità, che non si compra al supermercato. Il nostro atteggiamento era giusto prima della gara, ma poi in campo siamo stati lontanissimi dal Lecce. È successo troppe volte, mi prendo la responsabilità. Facciamo sempre gli stessi errori, se sapessi il perché avrei fatto qualcosa. Ci sono situazioni che non riusciamo a controllare nonostante ci lavoriamo. Ma il test vero è la domenica». Alla Roma succede una volta sì e l'altra no. «Troppe sconfitte - ammette l'asturiano - così è difficile sperare nel terzo posto. Abbiamo ancora delle possibilità, ma si deve migliorare tantissimo. Nelle ultime dieci giornate ci sono sempre partite dove la più debole batte la più forte. Con il Lecce eravamo noi la squadra debole». Prima di passare la parola alla società, Luis Enrique lascia una porticina aperta al suo possibile addio a fine stagione. «Sarà importante vedere dove arriviamo, nel calcio non si sa mai». Lucida l'analisi di Baldini. «Quello su cui dovremo intervenire non sono questioni tattiche o tecniche, le partite si vincono con l'agonismo e noi soffriamo contro le squadre che lo hanno. Il Lecce è stato superiore nella voglia. Luis Enrique ha avuto la sensazione di un approccio sbagliato alla gara e di un'occasione non colta per competere per la Champions. Ha voluto responsabilizzare i giocatori, anche non facendo cambi». Poi un'ammissione di colpa quando gli chiedono se la società ha sopravvalutato alcuni giocatori: «Dal punto di vista tecnico no, sul carattere può darsi». Secondo Baldini la questione è tutta qui. «Questo gioco, se non viene fatto con la carica agonistica necessaria, alla fine lo paghi. Si parla sempre della difesa, ma si dovrebbe difendere partendo dall'attacco». Dal Baldini a Sabatini la musica non cambia. «Dobbiamo metterci tutti in discussione. Dovrebbero farlo anche i giocatori e avere un po' di adrenalina e ferocia in più: alcuni li abbiamo sopravvalutati». Luis Enrique, invece, «non è in discussione: la sua posizione è solidissima. Siamo noi a dover fare delle riflessioni per capire chi potrà dare un contributo». Si pensa già al futuro, anche perché, «pensare adesso alla Champions - chiude Sabatini - sarebbe irriverente».

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