Controsensi di uno sport in linea con il Paese
Crisi,ma quale crisi!? È lo specchio del nostro calcio che da sempre viaggia a braccetto con l'andamento di un Paese in grado di vincere un mondiale proprio nell'anno più nero del suo sport nazionale imbrattato da Calciopoli. Così ci ritroviamo di nuovo a fare i conti con un pallone impazzito che continua con investimenti folli, a sognare l'Ibrahimovic di turno, pur non ritrovandosi ormai più nel gotha del calcio europeo: fuori da tutto col solo Milan aggrappato a un ritorno di quarti di finale di Champions dal pronostico improbabile. E proprio nell'anno nero dell'Inghilterra (fuori da tutto peggio di noi), l'Italia perde la quarta «card» Champions: bilancio delle scorse stagioni. Il problema vero erano e restano gli impianti: fatiscenti, imbarazzanti, da terzo mondo. Non certo in linea con una nazione che versa un miliardo l'anno al fisco e che ha oltre settantamila squadre iscritte alla sua federazione. Giustamente Petrucci dice che finora ha visto solo plastici meravigliosi, ma di impianti veri (tranne quello juventino), neanche l'ombra. Vero, ma se la nostra burocrazia pachidermica avesse davvero avuto a cuore l'argomento, la famigerata legge sugli stadi piuttosto che diventare terreno di battaglie politiche, avrebbe potuto avere un percorso «normale» in grado di mettere i club nelle condizioni di passare dai plastici al cemento. Fatta la tara, ovviamente, alle speculazioni edilizie che purtroppo sembrano la vera spinta di molte società: troppe. Come sempre la «normalità» sta nel mezzo, ma in questo l'Italia non è mai stata un granché. Come dire «no» alle Olimpiadi per paura che qualcuno ci possa «speculare» sopra... mah.