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Sessantatré anni fa l'addio all'azzurro del Grande Torino

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Unpomeriggio di primavera, come quello del lontano 1949, la Nazionale italiana di scena al glorioso stadio Chamartin di Madrid, alla ricerca della sua prima vittoria in Spagna. Ricordi che regalano sorrisi, perché quel successo puntualmente arrivò, ma anche di infinita malinconia. Nella formazione schierata da Ferruccio Novo e dalla commissione tecnica da lui presieduta, sei campioni del Grande Torino: Bacigalupo, Ballarin, Rigamonti, Castigliano, Menti, il capitanoValentino Mazzola. Assente per infortunio Maroso, forse il più grande talento difensivo del calcio mondiale, tradito dalla pubalgia. E, per avvicendamento, altri storici protagonisti come Grezar, Loik, Gabetto, Ferraris. Con i granata, in campo un esordiente non più giovanissimo, il ventottenne Amedeo Amadei che, per abituali questioni di bilancio, la Roma aveva ceduto all'Inter. In azzurro, l'Ottavo Re di Roma avrebbe collezionato tredici gettoni e sette reti, ma per lui resterà indimenticabile quel gol, splendido, realizzato al Chamartin: un pallonetto chirurgico da fuori area, a lasciare impietrito il portiere spagnolo Eizaguirre, a suggellare il trionfo, dopo le reti di Lorenzi e, dopo il pari di Gainza su rigore, Carapellese. Ma la malinconia, legata a quel ricordo, ha un senso preciso, si era infatti trattato dell'ultima esibizione in azzurro di quegli ineguagliabili interpreti dell'orchestra del Grande Torino, che lo schianto di Superga avrebbe cancellato due mesi dopo. Sarebbe stato impossibile riproporre una Nazionale, ma anche una squadra di club, capace di avvicinare quella leggenda che l'anagrafe mi ha consentito di vivere da vicino. Non c'era ancora l'Europa del calcio a dilatare gli orizzonti. Ma secondo me è incomprensibile come Valentino Mazzola possa non figurare tra primissimi della storia «all time».

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