di Gianfranco Giubilo Un abbraccio e un augurio affettuoso al vecchio amico Dino.
Esempre con lo sguardo limpido, specchio di una serenità ispirata non soltanto dal buonsenso che ha solide radici contadine, ma anche da un rigore morale al quale, di questi tempi, molti guarderebbero perfino con sospetto. Non vorrei turbare la sua festa con paragoni scomodi, ma l'attualità impone il riferimento a chi, in azzurro, ha ereditato il suo ruolo, la sua fascia di capitano ma non, purtroppo, la nobiltà di atteggiamenti che ha segnato la lunga carriera del fuoriclasse friulano. Del resto, Dino Zoff conosce da sempre il peso delle parole, delle quali non era prodigo però ben cosciente, mai si sarebbe sognato di affermare di ignorare il signifcato del «Boia chi molla» scritto sulla maglia o, peggio, di simboli nazisti. E mai si sarebbe sognato di far rientrare nella normalità azioni lontane da qualsiasi forma di fair play, mai avrebbe offerto ai giovani valutazioni ambigue nei comportamenti. Dino Zoff aveva un'altra statura, prenderlo a modello in questo calcio malato dei giorni nostri, avrebbe probabilmente risollevato il livello di attendibilità del più popolare tra gli sport nazionali. All'Italia pallonara Dino ha dato tutto, senza cali di tono: un quarto di secolo da giocatore, poi le esperienze da tecnico, di club ma anche delle Nazionali, quella maggiore portata a sfiorare il trionfo europeo nella finale contro la Francia. Riserva di Albertosi nel secondo posto in Messico, si sarebbe preso una clamorosa rivincita dodici anni più tardi in Spagna, alzando la Coppa del Mondo e festeggiandola con lo scopone scientifico passato alla storia, al tavolo il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, un altro che non ammetteva deviazioni dall'etica più severa. Qualcuno lo avrebbe voluto in pensione già dopo il Mondiale argentino, bollato come incapace, ormai, di vedere i tiri da lontano, una specie di «Ugo», la simpatica talpa di Sky, anche in quel senso il trionfo di Madrid costituiva una rivincita personale: che Dino, nella sua eleganza, non ha mai fatto pesare a nessuno. Penso che il momento più difficile, Zoff sia stato costretto a viverlo proprio nel corso dell'avventura azzurra in Spagna: quando, stanchi delle invenzioni di cronisti troppo disinvolti, i giocatori avevano decretato il silenzio stampa, i rapporti con i giornalisti delegati a Enzo Bearzot e, appunto, al capitano. Una sorta di lunga e feroce tortura, per un uomo avvezzo a centellinare la parole, come Dino Zoff, doversi confrontare quotidianamente con i cronisti, da collaudato saggio ne avrebbe eluso le trappole e mortificato la ricerca di qualcosa di sensazionale. Nonostante tutto non si era procurato inimicizie, se qualcuno avesse tentato manovre poco limpide, sarebbe bastata un'occhiata per rimetterlo in riga. Da oggi ufficialmente maggiorenne, può godersi i suoi trionfi e la sua fama, entrambi più che legittimati dalla storia.