L'uomo che rivoluzionò la boxe
I settant'anni di Muhammad Alì, il più grande pugile della storia Attivo nel sociale: disse «no» al Vietnam e si battè contro l'apartheid
Beh,quel «negretto» era Cassius Marcellus Clay Jr., probabilmente il più grande pugile di tutti i tempi, l'uomo che ha fatto impazzire gli appassionati di questo sport maledetto, protagonista dei match più belli della storia. L'uomo che rivoluzionò il concetto sociale di «nero» nello sport, convertendosi all'Islam, appoggiando le battaglie del Black Muslims e prendendo sempre posizioni scomode: come il «no» al Vietnam che stravolse l'America e lo mise, forse per sempre, nella lunga lista dei cattivi. Cassius Clay, dopo il successo di Roma diventò professionista ('61) e tre anni dopo ebbe la grande occasione: sfidare l'allora campione del mondo Sonny Liston. È l'inizio di una leggenda, perché sul ring salirono il «nero buono» e quello «cattivo». Liston era un pugile potentissimo ma abituato a una boxe d'altri tempi: lento, prevedibile, dall'aspetto cattivo ma che aveva ormai accettato il ruolo di «nero» nella società «bianca» americana degli anni Sessanta. Clay aveva in mente un altro ruolo nel mondo, era strafottente, sfacciato, irriverente al punto di scatenare più volte la rissa mediatica prima dei suoi match. Ma soprattutto praticava un'altra boxe: «Vola come una farfalla, pungi come un'ape» il suo diktat che trasformò uno sport fatto di sola potenza, in una vera e propria danza. Quel balletto costò caro al povero Liston prima vera vittima di Cassius Clay che proprio dopo questo incontrò si convertì e divenne Muhammad Alì. Dopo averlo fatto impazzire per sette round, volandogli intorno proprio come una farfalla, all'inizio dell'ottava ripresa Alì colpi il campione in carica pungendolo come un'ape. Fu quello che passò alla storia come «the phantom punch» (il pugno invisibile): il colpo d'incontro, apparentemente innocuo, stese Liston che girovagò per il ring stordito prima dell'interruzione dell'arbitro mentre Alì gli ronzava ancora attorno gridandogli di rialzarsi. Quella foto fece il giro del mondo e diventò il passepartout della nuova icona del pugilato mondiale. Da lì decollò la leggenda di Alì, fatta di capitoli epici come il successo in Zaire (proprio nel cuore dell'Africa nera) contro Foreman: incontro mitico che diede un'altra lezione «morale» al mondo intero. Alì incassò senza reagire per otto interminabili round facendo sfogare l'incredibile potenza dell'avversario, poi sul finire della ripresa uscì dal suo guscio colpendo Foreman con una serie di jab spaventosi per rapidità e potenza. Finì lì col pubblico in delirio che tornò a intonare il leit motive della vigilia: «Alì buma ye... Alì buma ye...» (Alì uccidilo). Ocome quello che fu chiamato «Thrilla in Manila», da molti definito come l'incontro più cruento della storia della boxe: la rivincita del campionato dei massimi tra Alì e Frazier. Quindici round infiniti al termine dei quali l'angolo di Frazier ritirò il suo pugile massacrato dai jab di Alì. Fu la fine di un mito, un incontro che segnò pesantemente la storia del pugile di recente scomparso e che sentiva ancora, a distanza di molti anni, «ronzare nella testa i colpi di Alì». «È il più grande pugile di tutti i tempi... Assieme a me» disse Alì esausto a termine dell'incontro, riconoscendo i meriti di un avversario lontano da lui anni luce. Frazier sull'argomento non tornò mai volentieri ma su Alì fu lapidario: «È stata la volontà di Dio: tutte le cose accadute a quest'uomo sono state volontà di Dio...». La sua boxe resta nel cuore della gente, perché vedere un peso massimo muoversi con quella velocità era e resta una cosa unica. Ma questa è storia, il presente è un signore che ieri ha spento settanta candeline, irrimediabilmente provato dal Parkinson e che fa una tenerezza infinita... Infinita come fu il suo coraggio nella vita e la sua classe tra le corde di un ring. Auguri Alì!