L'Italia non sa più sciare

Dodicigare sono forse poche per tracciare un primo bilancio, ma certo l'avvio di stagione della squadra italiana di sci alpino è poco incoraggiante. Nessun podio e tante delusioni soprattutto nel settore maschile, con velocisti – Innerhofer in testa – e gigantisti in grande difficoltà: le sei medaglie mondiali raccolte lo scorso febbraio a Garmisch sembrano un ricordo sbiadito. Per fortuna, dicevamo, ci sono le ragazze. Che magari non avranno la classe della straordinaria Deborah Compagnoni, ma con grinta e sacrificio ci stanno regalando qualche piccola soddisfazione. Il podio è ancora lontano, mentre la vittoria è semplice utopia, affare personale dell'inarrivabile Lindsey Vonn, quattro vittorie nelle prime sei gare di Coppa e un vantaggio già consistente su Viktoria Rebensburg, astro nascente della squadra tedesca. La Vonn ha cominciato la stagione alla grande: spinta dalla delusione dello scorso anno – quando le discutibili scelte dei vertici internazionali, tra gare annullate e mai recuperate, le impedirono di vincere la quarta Coppa del mondo consecutiva – a Lake Louise l'americana ha infilato una fantastica tripletta, dominando due discese e vincendo ieri anche il supergigante. Pur distanti anni luce dalla Vonn – salita a quota 45 successi in Coppa del mondo, al quarto posto assoluto tra le donne – le ragazze italiane hanno però fatto bene. Dopo gli ottimi piazzamenti conquistati da Lucia Recchia (6ª) ed Elena Fanchini (7ª) nelle due discese, ieri sul tracciato canadese si è messa in luce anche Johanna Schnarf, ottima 6ª, mentre la Fanchini si è confermata chiudendo al 10° posto. Risultati positivi e in parte sorprendenti: se i buoni riscontri ottenuti nelle prove tecniche di Aspen – Karbon 6ª in gigante e Moelgg 7ª in slalom – erano attesi e anzi hanno risentito dell'avvio incerto della giovane stella Federica Brignone, il settore della velocità femminile aspetta un astro dai tempi di Isolde Kostner. «Ma ora stiamo avendo una buona regolarità – ha osservato il direttore tecnico Raimund Plancker – Certo ci manca il guizzo, ma la direzione mi sembra giusta: ho grande fiducia per le gare europee». Dai ragazzi, invece, continuano ad arrivare delusioni. L'ultima ieri sera, nel gigante americano di Beaver Creek, gara vinta dall'austriaco Hirscher: il miglior azzurro al traguardo è stato Davide Simoncelli, appena 13°, seguito da Giovanni Borsotti (17°) e dai deludenti Manfred Moelgg (25°) e Massimiliano Blardone (26°). Sarà anche vero, come ammesso dal direttore tecnico Claudio Ravetto, che «siamo un po' indietro e dobbiamo lavorare molto», ma la crisi dei gigantisti, tradizionale punto di forza della squadra azzurra, è ormai conosciuta (nella gara inaugurale di Soelden il migliore era stato Moelgg, 17°) e sembra irrisolvibile. Se lo scorso anno avevamo quattro atleti tra i migliori quindici al mondo, in Colorado il primo italiano è partito con il pettorale numero 15 (Blardone). Le difficoltà incontrate finora dai velocisti azzurri, invece, sembrano congiunturali, dovute alla preparazione e ai tracciati affrontati. La pista americana di Beaver Creek sembrava invero adattarsi meglio alle caratteristiche di Innerhofer, 2° in prova ma fuori dai primi dieci in gara (12° in discesa e 13° in supergigante): «Non sono ancora a posto – ha spiegato il campione di Brunico, tre medaglie all'ultimo Mondiale – sto sciando al 50° per cento, ma presto tornerò al massimo». Nell'attesa, il circo bianco rimane in Colorado. La mancanza di neve in Val d'Isere ha allungato il tour americano: domani i gigantisti torneranno in pista per la prova d'appello, mercoledì sarà recuperato il supergigante femminile, mentre giovedì esordiranno gli uomini dello slalom: questa mattina Giuliano Razzoli, in recupero dopo la contusione alla spalla rimediata in allenamento, deciderà se partire per l'America.