Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Cambiare idea non è debolezza ma intelligenza

Maurizio Domizzi (S) e Erik Manuel Lamela (D)

  • a
  • a
  • a

Effetti devastanti, quelli prodotti dallo sciagurato venerdì di Udine. Non tanto per un risultato che la classifica indicava come il più probabile, quanto per un atteggiamento che ha incrinato la fiducia, lanciando la volata ai detrattori di Luis Enrique e dei suoi numi protettori. Quegli esterni di difesa bloccati: allora, ci si chiede, perché non Cassetti e Heinze, che avrebbero svolto il loro onesto e abituale mestiere? Perché quel centrocampo impoverito nella qualità a beneficio di un'inedita ricerca di copertura che teoricamente Greco avrebbe dovuto assicurare? Perché quello snaturamento delle prerogative di una squadra che sulla produzione di gioco offensivo aveva fondato le sue speranze nel futuro? Alla resa dei conti ci sarebbe voluta una replica dell'angosciato interrogativo dello Special One: «Porque?». Non si sono avute risposte accettabili, né dall'incrollabile ottimismo del tecnico, né dallo scetticismo di Walter Sabatini, la sensazione è che un po' tutti si siano malamente incartati, proprio nel momento in cui la dilatazione dei tempi avrebbe inevitabilmente prodotto una tempesta mediatica di proporzioni abnormi, perfino in relazione alla routine quotidiana, quasi mai serena. Ma, anche volendo archiviare una parentesi tecnica meritevole di convinta meditazione, la legge che esclude limiti al peggio è tornata imperativa, con la tragicommedia relativa all'Osvaldo furioso e alla gestione, goffa e umorale, dell'intera vicenda. Erik Lamela aveva reagito con spirito cristiano, magari senza porgere l'altra guancia visto che una era già segnata, però invocando indulgenza nei confronti del colpevole. E dunque pugno di ferro, un pugno che però la società si è data in faccia, aggravando pesantemente un danno che era stato di ordine mediatico prima che pratico. Perfino inutile rievocare l'antica leggenda del marito automutilato per dispetto, qui mancava anche una moglie da colpire negli affetti più cari. Pesante multa e tirata d'orecchie verbale, qui andava circoscritto l'episodio, per sgradevole che fosse, Osvaldo avrebbe pagato il giusto, in termini economici, mentre l'esclusione dalla rosa per gli impegni agonistici ha rappresentato una forma di autolesionismo non facilmente spiegabile. Le ultime da Trigoria, con qualche palpito per la caviglia di Totti e un Borriello da lavoro differenziato, prospettano un avvilente panorama per la trasferta di Firenze. Se poi qualcuno dovesse censurare un eventuale passo indietro, visto che comunque Osvaldo si allena normalmente, peggio per lui. Ammettere di avere sbagliato non sarebbe un atto di debolezza, ma di intelligenza.

Dai blog