Forse è giusto così.
Equindi in quel giorno in cui un attaccante normale quasi non si vede, gioca sottotono, si becca un bel cinque in pagella. Ma «Mito» Klose, come forse fa lontanamente immaginare il soprannome datogli dai tifosi biancocelesti, non è un attaccante normale. Per chi segue abitualmente la Lazio anche in trasferta, l'aspetto più interessante è ascoltare i commenti dei tifosi avversari. Il primo, in genere, riguarda la caratura del giocatore: «E chi se lo immaginava così forte?». Il secondo, la capacità dei dirigenti biancocelesti di portarlo in biancoceleste: «Ma come hanno fatto? A parametro zero, poi...». Ce n'è poi un terzo un po' più rabbioso, captato soprattutto al termine del derby: «Poteva restarsene in Germania»... Molto del merito, va dato atto, è di Igli Tare. Il ds della Lazio covava il sogno di portare Klose a Roma da molto tempo. Appena si sono presentate le condizioni favorevoli - Miro in scadenza di contratto al Bayern e messo ai margini dalla gestione Van Gaal - l'albanese ha piazzato il colpo, formulando un'offerta decisa: «Sappiamo che ti vogliono altre squadre e che sono disposte a pagarti anche di più (il Milan, ndr) ma se vieni da noi le giochi tutte da titolare». Un attaccante normale, a 33 anni compiuti, avrebbe pensato soprattutto ai soldi dell'ultimo contratto in carriera. Ma Klose, si è già detto, non è un attaccante normale. Il tedesco è un bomber «democratico». C'è chi segna in campionato e soffre le coppe (a Ibra fischieranno le orecchie), chi si esalta contro le piccole ma sparisce nei big match (ricordate Floccari?). Miro non fa distinzioni. Castiga il Milan dopo tredici minuti ma non si fa problemi neanche a dare la sesta mazzata ai semidilettanti del Rabotnicki. Passeggia sulle difese allegre di Cagliari e Cesena ma è capace anche di trovare la zampata vincente nell'area rarefatta degli ultimi minuti del derby. Ha fatto la fortuna di tutti i club in cui ha giocato con la bellezza di 188 gol, è diventato al tempo stesso il simbolo della Nazionale tedesca dove e si è messo in testa di battere tutti i record di un certo Gerd Muller. Non esulta dopo un gol - troppo abituato? - ma si lascia andare come un bambino dopo la giocata decisiva di ieri, che nelle sue statistiche da record non lascerà traccia. Tanto che, forse ingannati dalla sua corsa a braccia aperte, quelli di Sky ieri gli attribuivano sette gol nella classifica marcatori, uno in più di quelli effettivamente realizzati. Dieci minuti prima dello slalom risolutivo, per dirne un'altra, era stato lui a chiudere nella propria area su Zaccardo. Il suo impatto in biancoceleste è stato devastante. Senza di lui non ci sarebbero stati i pareggi con Milan e Catania e le vittorie su Cesena, Firenze, Roma e Parma. Fanno 14 punti sui 21 raccolti finora. Miro Klose vale due terzi del potenziale biancoceleste. I più pessimisti, di fronte a cifre del genere, si chiedono cosa succederà quando, come qualsiasi altro accante normale nell'arco di un campionato, anche il tedesco attraverserà un momento di appannamento. Ma «Mito» Klose, forse lo si è già detto in precedenza, non è un attaccante normale.