Borini a dicembre, si ferma Pizarro

Enessuno di noi, famiglia, amici, ammiratori convinti, riesce ancora a darsi una ragione di quel gesto, un colpo al cuore che ci aveva lasciati tutti un po' orfani, senza neanche la consolazione che una possibile risposta avrebbe potuto offrire. Non è facile, parlare di un grande campione per celebrarne le glorie sportive, per ricordare quanto la sua immagine avesse scaldato il cuore dei tifosi romanisti, attoniti per la tragica via di fuga scelta dal loro capitano. Troppo sensibile per scegliere il filone più agevole, nella vita, la ricerca della popolarità, del successo facile, delle vie traverse che spianano il cammino a tanti personaggi: dello sport, ma non soltanto. Con Agostino, ragazzo colto e un po' fuori posto in un contesto caciarone e talvolta volgare come quello del calcio, avevamo coltivato una bella amicizia, presto estesa alla rispettive famiglie, contavano poco le differenze anagrafiche di fronte a una facile intesa e a un percorso culturale che ci aveva molto avvicinato. Agli occhi dei più superficiali, Agostino passava per un musone al quale non era semplice strappare sorrisi o ammiccamenti. Era valutato soltanto in base ai suoi atteggiamenti giudicati snobistici, come lo starsene chiuso in camera, nei lunghi e noiosi ritiri con la squadra, a leggere testi di architettura o di pittura moderna quando gli altri privilegiavano interminabili partite a carte. Posso offrire testimonianza sicura di quanto questo ragazzo fosse capace di esprimere, nella ristretta cerchia di amici, uno straordinario senso dell'umorismo, senza mai tirarsi indietro quando si trattava di organizzare scherzi ricchi di arguzia. Ricordo una comune vacanza a San Marco di Castellabate, il paese del Cilento dove abitavano i genitori di Marisa, la sua dolcissima compagna. Come un regista impegnato per una scenegguatura da Oscar, Ago aveva studiato nei minimi particolari una recita da film horror, coinvolgendo nel progetto anche un magistrato, un avvocato, un altro giornalista. Progammata una gita notturna ai ruderi del maniero di Castellabate, già circondato da lugubri leggende, la comitiva trovò, presso le mora diroccate, bianchi lenzuoli con tanto di luce inquietante, trascinamenti di catene, suoni sinistri. Ne venne fuori, tra urla e invocazioni di aiuto, una fuga epocale. Mentre tutti noi, abbandonati i travestimenti, andavamo a festeggiare con Agostino e gli altri membri della combriccola. Troppo limpido nei suoi comportamenti, troppo onesto per cercare, a fine carriera, scorciatoie fin tropo comode per essere anche moralmente inattacabili. Al grande capitano personaggi politici e finti amici avrebbero riservato tutta una serie di promesse eluse, di comportamenti troppo ambigui per chi coltivava un ideologico rifiuto verso il compromesso di qualsiasi tipo. La sua carriera spesa a onorare la maglia giallorossa: l'aveva lasciata per un breve interludio a Vicenza, in giovanissima età, avrebbe dato l'addio ai prediletti colori soltanto nella fase declinante della sua lunga milizia, approdando per altro in una società prestigiosa come il Milan, 237 i suoi gettoni di presenza con i lupetti. Capitano storico del secondo scudetto, quello conquistato sotto la guida di Nils Liedholm, un autentico trionfo, anche se la maledetta notte dei rigori gli avrebbe vietato, l'anno successivo, l'alloro della Coppa dei Campioni. A quei tempi, manifestazione ben più prestigiosa rispetto alla fin troppo affollata Champions League dei giorni nostri. Ma sullo scudetto Diba avrebbe lasciato un'impronta significativa, lo stratega svedese era riuscito ancora una volta a prendere in giro tutti proponendo il capitano come libero. Quel ruolo, in realtà, era prerogativa assoluta di Vierchowod il russo, uno dei difensori più veloci di tutti i tempi, Agostino assicurava supremazia nel settore nevralgico, il centrocampo. Forse superfluo rievocare la figura del giocatore: eleganza, testa alta, lucidità nella regia e soprattutto quella autentica folgore scatenata dal suo piede destro, a incenerire portieri di vertice. Gli anni passano, la nostalgia non conosce cali di intensità.