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di Giancarlo Baccini La partita di stasera sembra proprio una di quelle di cui faresti volentieri a meno.

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Nontanto in sé, perché, checché se ne dica, l'Europa League sa un po' di serie B continentale e non è certo un traguardo prestigioso come erano la sua progenitrice Coppa Uefa o la defunta Coppa delle Coppe. La partita è molto importante in quanto deve dirci quale Lazio ci è stata riconsegnata dal derby. Se, cioè, il delirio di onnipotenza innescato dal romanzesco trionfo di domenica notte (una delle vittorie più belle degli ultimi anni per merito dell'avversario e del mondo in cui è maturato) ha consumato tutte le ambizioni di una squadra abituata a pensare in piccolo oppure è destinata a rivelarsi come la rampa di lancio di una megagalattica missione interstellare. Siamo seri: chi di noi ha mai creduto ai proclami di Lotito, Reja e giocatori sulla gran voglia laziale di allori internazionali? Più che una competizione che distribuisce gloria e ricchezza, l'Europa League sembra (a noi e, ne sono sicuro, anche a loro) uno strumento che aiuta gli allenatori afflitti da rose troppo larghe ad evitare mugugni e litigi da spogliatoio. Invece, paradossalmente, il fatto che le sventure con Vaslui e Sporting l'hanno trasformata in uno spareggio-salvezza (chi perde è eliminato, chi vince può ancora sperare nella qualificazione ai sedicesimi di finale) ha restituito valore assoluto alla sfida di Zurigo, perché essa metterà alla prova la capacità dei giocatori laziali di restare concentrati e affamati anche dopo un'abbuffata di gloria come quella cui si sono abbandonati fra domenica all'Olimpico e martedì a Formello dove erano presenti oltre duemila tifosi entusiasti. Una volta tanto, dunque, mi trovo d'accordo con le scelte di Reja, che manderà in campo la migliore delle formazioni possibili nonostante fra tre giorni ci sia di nuovo da affrontare il campionato, peraltro una trasferta per tradizione complicata come quella sul campo del Bologna. A Zurigo bisogna imporsi non per un evanescente traguardo europeo ma per non risvegliarsi dal sogno italiano. Può sembrare un paradosso, ma l'unica cura contro l'ebbrezza da vittoria è continuare a vincere.

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