di GIANFRANCO GIUBILO Trentacinque anni, diciamo che ormai è grandicello.
Unocome lui quando nascerà? «Se nasce», rievocando i versi che Garcia Lorca aveva dedicato al matador Ignacio Sanchez Mejas. Lascio agli statistici il non facile compito di mettere in fila tutte le date fondamentali del percorso agonistico di questo fuoriclasse di casa nostra. Un percorso talvolta impervio e accidentato, ma sempre praticato con gli stessi colori sulla pelle, il giallo e rosso che neanche le sirene più incantatrici lo avrebbero indotto a rinnegare. Lo ha celebrato, e continuerà a celebrarlo, il tifo giallorosso, l'ammirazione appartiene a un'intera città, neanche l'opposta sponda calcistica avrebbe potuto mai negargli una dimensione unica. Francesco si porterà appresso un comprensibile rimpianto, non avere mai avuto la gioia di sollevare un Pallone d'Oro che avrebbe meritato, un trofeo che spesso va al più bravo in assoluto, eloquente l'esempio di Messi, ma in molte occasioni ha invece premiato i risultati di una squadra. Nell'albo d'oro figurano i Sammer, i Papin, i Belanov, ma anche altri che a Francesco non erano degni neanche di allacciare gli scarpini. Ancor più apprezzabile, dunque, la fedeltà a quei colori che difficilmente avrebbero potuto issarlo sulla vetta del calcio europeo. Esemplare anche il contributo alla maglia azzurra, per la prima volta indossata a Udine tredici anni fa, nella vittoria per 2-0 sulla Svizzera, qualificazioni europee. Ultimo splendido omaggio, quella lucida esecuzione su un pallone pesantissimo, contro l'Australia nel Mondiale vinto. Ma il segnale più vivo di maturità, e di intelligenza, appartiene alla stretta attualità: quel progetto sposato, quel traino per i compagni verso la solidarietà a Luis Enrique. Non a parole, ma con un impegno feroce, l'artista che per il bene comune veste anche la tuta da operaio, come soltanto i grandissimi possono fare. Auguri, capitano.