Teso e spavaldo
LuisEnrique indossa la corazza e continua la sua battaglia. I nemici, attorno, aumentano, ma ci sono i dirigenti e la maggioranza dei giocatori a proteggergli le spalle. Stasera a Parma il sesto tentativo per centrare finalmente una vittoria. Il combattente spagnolo si gioca molto. Non la panchina, ma l'ultima scorta di fiducia dell'ambiente sì. Nei tempi recenti i suoi predecessori non hanno mai infilato una striscia di sei partite consecutive senza un successo: Spalletti si è fermato a cinque tra novembre e dicembre 2005, Ranieri idem lo scorso febbraio e a quel punto ha rassegnato le dimissioni. «Io non lo farò anche se perdo a Parma» dice Luis Enrique, convinto che la sua idea di calcio alla fine sarà vincente. «Per me - riconosce il tecnico - questa è una situazione difficile, non vendo fumo. Il mio stipendio è il terzo più alto della serie A? Non lo sapevo, anzi pensavo di essere tra i meno pagati ma si parla di questo soltanto perché non abbiamo mai vinto finora. Gli allenatori dipendono sempre dai risultati, quando non arrivano tutto sembra più difficile ma non sono venuto a Roma per cambiare la mia maniera offensiva di vedere il calcio. Credo di poter ribaltare questa situazione. Guardo avanti cercando di imparare dagli errori commessi». La squadra, tranne poche eccezioni, continua a seguirlo, con fin troppa disciplina. In campo, però, non riesce ancora a mettere in pratica gli insegnamenti di Luis Enrique. «La comprensione dei giocatori è migliorata ma la partita con il Siena è stata bruttissima: quello che si è non è il mio modello di gioco. Ovvero? Avere la palla per superare le linee, arrivare in area avversaria col maggior numero possibile di uomini d'attacco e fare gol». Peccato che la Roma non lo faccia quasi mai. La troppa distanza tra Totti e la porta è la tesi accusatoria più in voga. «Francesco ha libertà totale di muoversi, è il calciatore con più qualità della squadra - spiega l'allenatore - non sono preoccupato dal ruolo in cui giocano alcuni, ma dalla situazione generale che non è favorevole. Sono responsabile di tutto il male che sta succedendo, però continuo a lavorare per invertire la rotta. Di certo non farò mai nulla che possa essere un male per il gruppo». Si irrigidisce, come mai gli era successo, quando gli fanno notare che a Trigoria e a Barcellona più di qualcuno sostiene: «Luis Enrique diventerà un grande allenatore». Come a dire: ancora non lo è. «Chi lo ha detto? - chiede infastidito l'asturiano - Sono un buon allenatore e dico "buono" perché sono modesto... ». Cosa c'è dietro tanto nervosismo sull'argomento? Per caso Luis Enrique ha intuito che qualcuno non crede davvero in lui? «È un momento delicato - aggiunge - e non si possono dire queste cose ridicole: anche mia nonna che è morta diceva che sapeva quando sarebbe piovuto... ». Ci vorrebbe un veggente pure per intuire la formazione di stasera. Si possono comunque escludere rivoluzioni tattiche e «se cambierò uomini - dice il tecnico - lo farò perché tre partite in una settimana sono uno sforzo fisico importante». Totti non sembra stanco e dovrebbe esserci, ai suoi lati i soliti quattro uomini si giocano due posti: Osvaldo e Bojan stavolta partono leggermente favoriti su Borriello e Borini. In difesa l'unico pezzo dovrebbe cambiare a destra: fuori Perrotta e dentro Rosi. Il centrocampo sarà lo stesso di giovedì scorso, schiena di Pizarro permettendo: stamattina il test decisivo, se non lo supera tocca a Perrotta. Dall'altra parte c'è un Giovinco che improvvisamente sembra diventato un gigante. «Sono preoccupato per il loro contropiede del Parma - ammette "Lucho" - e la loro forza in casa. Ma conosco le soluzioni: in Spagna è ancora più difficile, la pressione dell'avversario è più alta». Per fermare la Roma, fino ad ora, è bastato molto meno.