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Roma a terra

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Luis Enrique allenatore della Roma

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Un uomo solo. Di solito si sente così un allenatore in crisi di risultati. La lista dei potenziali sostituti cresce di giorno in giorno e alla fine sono in pochi a salvarsi dalla scure dell'esonero. Con Luis Enrique non è (e non sarà) così. La Roma non ha vinto una partita su cinque giocate, è già fuori dall'Europa, gioca un calcio noioso e vulnerabile eppure nessuno pensa a mettere alla porta lo spagnolo. Luis Enrique non è un uomo solo, ma in difficoltà. È questa la netta impressione che ha dato giovedì dopo la partita, percepita anche ieri da tutti quelli che ci hanno parlato. Baldini gli ha telefonato dall'Inghilterra e insieme a lui ha discusso dei possibili rimedi. Che serva una vittoria è chiaro a tutti: secondo il dg in pectore e l'allenatore il problema della squadra è soprattutto psicologico. Ma non è l'unico. L'attacco non funziona, la difesa è perforata a piacimento dagli avversari e le gambe non reggono: i cinque gol subiti finora sono arrivati tutti negli ultimi 22 minuti. Così Baldini si è spinto oltre, discutendo delle possibili varianti tattiche da provare nelle prossime partite. Sabatini ha fatto lo stesso, faccia a faccia con Luis Enrique a Trigoria, dopo aver parlato singolarmente con alcuni giocatori. Lo stesso Fenucci ha passato qualche ora insieme all'allenatore. Il ds e l'ad, che rispetto a Baldini vivono la quotidianità romanista, sono altrettanto preoccupati. Lo stesso vale per DiBenedetto. Ma nessuno, dalla cima ai piedi della società, ipotizza soluzioni drastiche. Sarà Luis Enrique, eventualmente, a farsi da parte. Il tecnico, seppur frastornato, prova ad andare avanti. Ieri ha parlato ai giocatori, alzando decisamente di più la voce rispetto agli ultimi post-partita. Qualche giovane che guardava il telefonino mentre lui catechizzava il gruppo gli ha fatto perdere la pazienza. " Dobbiamo ritrovare allegria - ha detto, spalleggiato dal mental coach Lorente - e credere in quello che facciamo. Siamo troppo lenti, gli attaccanti non aiutano a recuperare la palla, facciamo troppi passaggi in orizzontale: così non siamo una squadra". Questo, in soldoni, il discorso fatto ai giocatori che continuano ad ascoltarlo, seguirlo e annuire. Forse il problema sta proprio qui. Nessuno se la sente di uscire dallo spartito, da un Totti mai così dedito alla causa fino all'ultimo dei ragazzini. Mai un guizzo, mai un movimento fuori dagli schemi. Anche chi gioca fuori ruolo si attiene allo spartito. I risultati, però, non arrivano e adesso ogni avversario fa paura. Domani c'è il Parma, poi l'Atalanta e meno male che il derby arriva dopo la sosta. Luis Enrique non intende cambiare. Il modulo resta il 4-3-3, il sistema di gioco identico, Totti (che a Parma potrebbe riposare) è il trequartista, gli attaccanti, che siano Osvaldo o Borini, devono partire larghi. L'allenatore continuerà a comunicare i convocati per le partite casalinghe il giorno della partita ma la cosa sta disturbando più di un giocatore. Dal gruppo compatto con l'allenatore iniziano a staccarsi i primi pezzi: Juan non ha ricevuto spiegazioni per la mancata convocazione di giovedì e ci è rimasto malissimo, Cassetti si sente l'ultima ruota del carro, Rosi e Simplicio sedotti e abbandonati, Heinze e Gago hanno capito di essere riserve, Borriello vorrebbe essere altrove. Anche la gestione dei portieri ha creato problemi. Tancredi aveva puntato su Curci, il tecnico ha preferito schierare Lobont. Per nascondere i problemi servono le vittorie, prima che l'anestesia di un ambiente incredibilmente quieto finisca il suo effetto. A Trigoria ieri è apparso uno striscione d'incitamento: "Daje Roma". I tifosi sono cambiati, adesso tocca a Luis Enrique.

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