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E venne il giorno delle spiegazioni

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Schiette,dirette, senza filtri o diplomazia, come è sempre stato nello stile del personaggio. Frasi talmente dure, forti e categoriche da lasciare un velo di mistero sul motivo che, alla fine, ha convinto Edy Reja a tornare sui suoi passi, a rimanere sulla panchina della Lazio dopo un giorno e mezzo da dimissionario. Sì, perché nelle infuocate parole pronunciate ieri, alla vigilia della già decisiva trasferta di Cesena, il tecnico friulano non ha mai cercato di ricucire rapporti, smorzare toni. Ha parlato, insomma, quasi da ex, a partire da quando ha definito l'ambiente laziale «marcio». Una frase che, c'è da scommetterci, provocherà un'altra pioggia di polemiche e renderà ancora più difficile l'eventuale ritorno dell'allenatore all'Olimpico, domenica prossima. «Resto alla Lazio fino alla fine del campionato, ma lo faccio con disagio». Questo il messaggio lanciato ieri a Formello, veicolato però con immagini assai più forti, come la metafora del quadro: «Ho avuto un chiarimento con società e squadra e alla fine ho deciso di andare avanti. Diciamo che il quadro, quello che sta all'interno, è buono. A essere marcia è la cornice». Reja ci mette dentro proprio tutto, l'ambiente - specificando di non riferirsi a Roma come città, ma proprio al contesto biancoceleste - ma anche la stampa, «che conosce bene quali dinamiche ci sono all'interno del tifo laziale e che spesso si lascia andare a critiche eccessive e ingiustificate». Qualcuno tra i presenti si offende, e allora il tecnico corregge parzialmente il tiro: «Marcia è una parola grossa. Diciamo che la cornice è tarlata. Alcune parti sono buone, altre bucate». La sostanza resta. Qualcuno gli obietta che, in fondo, anche a Napoli ha vissuto momenti difficili, con una piazza che lo contestava nonostante risultati indiscutibili, ma questo non gli ha impedito di andare avanti cinque anni. «Lì non mi fischiavano ogni giorno - risponde lui - e in più ho avuto degli attestati di affetto e di stima dal punto di vista umano, quello che conta di più, che a Roma non mi sono mai arrivati. Io non sono uno che parla con gli ultrà, penso solo a lavorare, non a crearmi amici». Reja spiega di voler restare fino a giugno, «ma ovviamente le cose cambieranno se non ci sarà il conforto dei risultati». La palla passa dunque alla squadra, che a Cesena sarà chiamata a dimostrare di essere effettivamente dalla parte del tecnico. «Certamente ci sono stati degli errori - analizza lui - ma siamo appena alla seconda giornata. Ci è mancato equilibrio tra i reparti, dobbiamo trovarlo. Anch'io mi prendo le mie responsabilità, sono il primo a farmi delle domande, bisognerà trovare dei correttivi. Il problema è che qui una sconfitta viene valutata in maniera esagerata. A me non basta vincere, qui io devo stravincere». Torna in ballo il discorso di Zarate («non gli ho mai detto di non considerarlo, e poi non sono io il proprietario del suo cartellino») e tornano anche i giusti malumori di un tecnico che ormai viene insultato costantemente e non può più neanche fare una passeggiata in centro con la moglie. Resta, in definitiva, l'impressione di una parentesi ormai conclusa, tenuta in vita solo artificialmente. Anche per questo la ridda di nomi che circolano per la sostituzione non si è assolutamente fermata. E se arriva qualche smentita (Marino ha dichiarato di non essere mai stato contattato), vengono fuori anche ipotesi suggestive. Come quella di Roby Baggio. Amico di Tare dai tempi del Brescia, l'ex divin codino rappresenterebbe un'ulteriore passo verso la riconoscibilità internazionale già cercata con gli acquisti di Klose e Cissé.

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