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Un weekend addolcito da due tedeschi

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SebastianVettel, innanzi tutto. L'omaggio al tricolore con l'apposizione del logo «150 Italia» sul casco e, soprattutto, il pianto di commozione sul podio di Monza, alla vista del rosso oceano di passione ai suoi piedi, sono stati una dichiarazione d'amore inattesa e travolgente da parte di un ragazzo che, avendo già vinto due titoli mondiali (il secondo è ormai scontato) ed essendo incredibilmente forte, bravo e sicuro di sé, aveva legittimato il dubbio che si trattasse di un extraterrestre, alieno alle emozioni umane. Invece a un certo punto, mentre gli inni suonavano e lui stringeva in grembo la coppa spedita a Monza dal Presidente Napolitano, il bel faccione pulito e sorridente di Seba s'è fatto scuro scuro, e all'angolo dell'occhio sinistro è spuntata una lacrima che proprio non è riuscito a ricacciare indietro. Una lacrima che a me è parsa un inequivocabile, anche se involontario, messaggio urlato alla Ferrari. «Io sono come voi italiani! Le corse sono la mia vita e il mio sangue è rosso come le vostre macchine. Ferrari, che aspetti a portarmi a Maranello?». L'altro tedesco che ci vuole bene e al quale dobbiamo, una volta di più, gratitudine è Michael Schumacher. Non mi riferisco tanto al piacere che ci ha regalato battagliando in pista come ai tempi belli, quanto al fatto che così facendo ha regalato il podio alla Ferrari e ad Alonso. Schumi ha scavalcato al via, risalendo ben cinque posizioni, entrambe le McLaren. Dopodiché ha fatto da tappo in favore di Alonso, tenendosi dietro per ben 18 giri Hamilton. Senza l'enorme ritardo accumulato schiumando rabbia in scia a uno Schumi che, armato di una Mercedes velocissima sul dritto ma ballerina in curva, era disposto davvero a tutto - zigzag per difendere la traiettoria, staccate oltre il limite ecc - Hamilton avrebbe sicuramente riacciuffato Alonso molto prima che nell'ultimo giro, ed è scontato che avrebbe avuto tutto il tempo di passarlo, così come aveva fatto il suo compagno di squadra Button. Insomma, se Monza non è stata un vero e proprio calvario, l'Italia e la Ferrari devono ringraziare più questi due tedeschi a esse così visceralmente legati che non Fernando Alonso, il quale ha saputo dedicare appena qualche stanco rituale e neppure un gesto d'affetto al popolo rosso adorante ai suoi piedi, nero com'era a causa del modo in cui in pista sia Vettel sia Button gli erano passati sulle orecchie, sverniciandogli il casco. Alonso non ha niente da rimproverarsi, intendiamoci. Ieri la macchina era quella che era. Ma, senza il contributo di Schumi, lui a quel podio che un anno prima l'aveva celebrato come un dio in terra stavolta non ci si sarebbe neppure avvicinato.

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