Luis Enrique, perché deve restare

Del peccato di falsa partenza può macchiarsi perfino Usain Bolt, nessuno può consentirsi di metterlo in croce. Ma in questa città umorale, e il discorso non riguarda la folla del'Olimpico, comprensiva e ragionevole, sembra che lo sport prediletto sia il tiro al piccione. Così la demagogia cara agli orecchianti trova fertile terreno per decretare frettolosi ostracismi e atteggiamenti populistici, più agevoli rispetto alle lucide riflessioni che invece dovrebbero essere riservate a un esordio deludente, però non infelice. Luis Enrique, apprezzabile nei composti atteggiamenti in panchina e nell'onesta analisi del dopopartita, ha diritto a perseguire lo sviluppo di un progetto coraggioso, senza che i toni vengano esasperati oltremisura. Se la Roma avesse evitato una sconfitta ingenerosa, probabilmente si ragionerebbe in termini diversi, ma nel nostro calcio il risultato è la sola cosa che conti, quasi una chimera trovare interlocutori capaci di guardare oltre la punta del proprio naso. Si è trovato, il giovane tecnico spagnolo, a delineare e organizzare una formazione con quindici giorni di lavoro, spesso anche meno, alle spalle. Una torre di Babele da erigere con esecutori che parlano linguaggi diversi e che devono abituarsi a guardarsi in faccia per intendersi tra loro. Nella Roma dell'esordio si sono registrate prestazioni deludenti, con attenuanti: la scarsa familiarità di Bojan con un gioco in unusuali spazi dilatati, il ritardo di condizione di Osvaldo che deve adeguarsi a una posizione defilata. Ma segnali incoraggianti vengono da uno straordinario Josè Angel, che purtroppo non ci sarà contro l'Inter, dalla lucida visione di Pjanic. Forse, per toccare tasti meno esaltanti, diciamo che Heinze e Burdisso sono due ottimi centrali, ma non una coppia, come accadeva del resto per Mexes e Juan. Pesati pregi e difetti di questo sfortunato passo di entrata, mi sento del tutto solidale con i nuovi indirizzi e con il loro gestore. Se poi qui a Roma c'è ancora qualche nostalgico del non gioco e dei punti lucrati con il cinismo e con la noia, si accomodi pure, manca soltanto che, per insidiare la panchina di Luis Enrique, compaiano gli spettri di un Sonetti o perfino di un Cavasin. Vi prego, rivolgete al cervello una parola di pace.