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Gli efferati delitti della Lega Pro

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Chiamatelosciopero, se volete, ma il termine è improprio. Una serrata autentica, ultimatum oltraggioso dei padroni di un vapore, che nella sua lunga storia di tutore del calcio professionistico, ha collezionato palesi manifestazioni di incapacità, a partire da quella di non regalarsi una guida non dilettantistica. La storia documenta come l'espressione ufficiale dei presidenti della Serie A si sia puntualmente arresa alle imposizioni della Federcalcio, anche quando era evidente come gli interessi delle due istituzioni fossero totalmente divergenti. Resta tutta indefinita la questione dei giocatori utilizzati dalle squadre nazionali: sono le federazioni a fare cassa, tra biglietti e sponsors, utilizzando lavoratori stipendiati da altri, senza che gli infortuni sofferti in maglia azzurra abbiano mai prodotto risarcimenti adeguati. Al punto che suscitarono scandalo le pretese avanzate da Cragnotti quando alla Lazio era stato sottratto per un anno un campione come Nesta. A oggi, per altro, una regolamentazione che consenta alle società di monetizzare la cessione temporanea dei loro dipendenti alla Nazionale non è stata neanche delineata, più comodo per il «tycoon» di turno prendersela con i calciatori, che la diffusa demagogia additerà puntualmente al pubblico ludibrio. Più grave ancora l'acquiescienza che ha privato per più di un ventennio i club delle risorse, del tutto legittime, prodotte dalle sponsorizzazioni. Prima che un coraggioso raid dell'Udinese portasse il problema all'attenzione generale, la società avevano subito le imposizioni federali, nessuno poteva oltraggiare la propria maglia con scritte commerciali. Qualsiasi dirigente degno di questo nome avrebbe replicato: fatevi le schedine del Totocalcio con le partite dei dilettanti. Tutto lo sport italiano, che di quella risorse viveva, sarebbe andato per stracci. Ricordo che quando Dino Viola celebrava l'accordo con la Barilla, uno dei più importanti nella storia degli abbinamenti, mi permisi di obiettare che erano stati buttati via venti anni di finanziamenti. Di quelli puliti, dare e avere senza secondi fini, senza interessi politici nascosti, senza visibilità per personaggi ambigui. Adesso l'armata che presidia la roccaforte del professionismo fa la voce grossa e impone diktat che rivelano arroganza, messe a tacere le poche voci interne discordi. Uno sguardo al passato, cari signori, forse dovrebbe indurre a qualche attenta riflessione.

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