Viziati e strapagati I giocatori meritano solo una pedata
Il simbolo dell'ipocrisia? I calciatori. Eto'o, sbarcato in Russia per giocare con una squadra ignota ma ricchissima, ha detto: non vengo per denaro, mi interessa il progetto. Cosa c'è di più interessante di 20 milioni di euro l'anno? Così i calciatori sciopereranno nella prima di campionato non per dei princìpi ma per avidità. La contesa è su un ipotetico contratto collettivo. Eppure non c'è atleta che non abbia un procuratore, un ufficio legale e un contratto preciso in ogni dettaglio. Stipendio, premi, bonus per lo sfruttamento dell'immagine, diritti. Tutto è precisato e pagato. Ben pagato. Come non dar ragione al presidente Beretta quando dice degli scioperanti in mutande: hanno retribuzioni da amministratore delegato e vorrebbero diritti superiori a quelli degli operai della catena di montaggio. Eppure dicono che non sono i soldi il problema. Ma allora perché non vogliono assicurare che pagheranno il contributo di solidarietà? Il problema in fondo è questo. Inutile che dicano il contrario. Loro quel contributo in realtà non vogliono pagarlo o comunque vogliono trattarlo con le società. Ma quale categoria ridiscute il contratto per il fondo di solidarietà? Nessuna. A chi verrebbe in mente di andare dal proprio datore di lavoro e dire: questo lo paghi tu? Sai che pernacchie riceverebbe. I calciatori no. Questa classe eletta, persone che guadagnano in un anno quello che molti professionisti prendono in una vita, non si vergognano nemmeno un poco. Chiedono e minacciano. Così il presidente della Federazione gioco Calcio, Abete, arriva perfino a proporre un fondo di 20 milioni messo a disposizione per eliminare il contenzioso. L'intenzione di Abete nasce dalla preoccupazione di disinnescare la bomba dello sciopero. Mettendo sul piatto quei soldi sperava di convincere le società di calcio a firmare l'intesa con la garanzia che non correrebbero il rischio di dover mettere mano al bilancio. Bene ha fatto la Lega calcio a dire no. È una questione di giustizia, di decoro. Se il mercato porta dei giocatori di calcio a guadagnare tanto non siamo qui a scandalizzarci, ma le tasse, giuste o ingiuste che siano le paghino come gli altri. Si immergano nella realtà. Così il tentativo di Abete e gli appelli di Petrucci sono caduti nel vuoto. Lo scopo era lodevole, quello di garantire la partenza del campionato. Il gioco del calcio non è solo divertimento, non è soltanto l'argomento preferito di discussione per milioni di italiani. È una vera industria che muove grandi risorse, un meccanismo che coinvolge le tv e la pubblicità. Ma dare garanzie che nessuno altro ha sarebbe stato un pessimo segnale per il Paese. Un precedente pericoloso. Così resta il braccio di ferro. Per disennescarlo basterebbe che i calciatori, senza ambiguità, si facessero carico di pagare di tasca propria il contributo. Se lo facessero darebbero un segnale forte di responsabilità. C'è un altro punto, più tecnico che alimenta la discussione: la possibilità o meno dei dirigenti di allontare dal gruppo qualche atleta. Ma parliamoci chiaro, questo non significa toccare le retribuzioni. Per il sindacato calciatori non si può isolare una persona dai compagni e farlo allenare separatamente. Ma quanto sono sensibili questi signorini. Si fanno fare dei contratti ricchi, se poi non rendono per quello che sono pagati, non fanno sconti. I soldi li vogliono tutti anche se la domenica vanno alla stadio, ma in tribuna. E se invece rendono di più ecco arrivare i procuratori per reclamare una revisione del contratto, e spesso le società devono cedere. Non hanno difese, nemmeno quello di mettere «fuori rosa». Diritti a senso unico. Solo per loro. Per i più ricchi dipendenti del mondo. Altro che attaccati alla maglia come ripetono con retorica. Sono attaccati solo allo stipendio, e che stipendio. Che scioperino pure. Se lo facessero i tifosi di calcio, quelli che pagano questo baraccone, altro che veline e Ferrari. I ragazzi viziati dovrebbero lavorare. Gli farebbe bene.