In Copa America il blasone non basta
Forsenon è occasionale che uno degli stadi, dedicato a qualche pomposo generale del passato, per i tifosi sia il Cimitero degli Elefanti. Stasera la più antica sfida calcistica tra squadre nazionali della storia, celebra la prima semifinale. Ci sarà, con pieno titolo, l'Uruguay, che divide con l'Argentina padrona di casa il record di vittorie nell'albo d'oro, ma gli contenderà il pass per la finale il Perù, che il trofeo ha alzato appena due volte, l'ultima trentasei anni fa. Domani sera, tentativo per l'outsider Paraguay, anch'esso appena due vittorie in Copa America, non sono pochi trentadue anni dal più recente sigillo. Nella vetrina dei gioielli in eposizione, fin troppi dei quali con cartellini del prezzo proibitivi, i fuochi d'artificio prodotti da due settimane di gare hanno determinato una sorta di «fenomeno calmiere». Una situazione che forse piacerà ai potenziali acquirenti, anche se al Barcellona non sembra avere regalato sconti significativi l'uscita di scena di Alexis Sanchez e del suo Cile. Va anche sottolineato come all'appuntamento argentino molti protagonisti, preceduti da attese frenetiche, si siano presentati spremuti come limoni da stagioni estenuanti: in Europa, soprattutto, ma anche in Brasile e in Argentina dove i finali di stagione hanno regalato periodi convulsi. Avrà comunque una finalista a rappresentarlo, nonostante l'addio della formazione più illustre, il calcio platense, con Uruguay e Paraguay. Comune destino, la resa ai calci di rigore delle due squadre attese come grandi protagoniste alla ribalta e obbligate a un mesto ritorno dietro le quinte ben prima della fase conclusiva del torneo. La squadra di casa aveva il fiore all'occhiello del miglior giocatore del mondo, purtroppo per loro Leo Messi è stato forse il solo a non deludere clamorosamente. La corazzata messa in campo da Menezes non ha convinto neanche quando ha strapazzato l'Ecuador, molto di più sarebbe stato lecito attendersi da Neymar, esteticamente inguardabile, ma anche da Pato e da Robinho. Ganso, uno dei più criticati, ha l'attenuante del recente grave infortunio, però almeno ha mostrato grande visione di gioco e passaggi illuminanti. Va anche sottolineato come nel quarto di finale con il Paraguay a condannare i verdeoro siano stati non soltanto gli errori sotto porta, per non parlare della grottesca serie dal dischetto, ma anche tanta sfortuna, personificata dai miracoli di Justo Villar. Uno dei tanti, il portiere biancorosso, ad avere scavalcato in titoli di meriti i fuoriclasse rimasti ai margini, come del resto aveva fatto il suo compagno Estigarribia: nome complicato, ma futuro garantito.