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Il Barcellona con la Champions League conquistata a Londra contro il Manchester United

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Ancora una volta, il trionfo del talento, la standing ovation dei novantamila di Wembley: delusi nella loro maggioranza, ma obbligati a inchinarsi alla squadra più forte del mondo. La Champions League finisce, per la seconda volta in tre anni, nella bacheca del Barcellona: che regala emozioni, palpiti, entusiasmo, così si gioca nel Paradiso del calcio. Guardiola celebra l'impresa, lui costruisce come sa, i protagonisti sono i tre tenori, quelli che si erano contesi il Pallone d'Oro, Messi, Iniesta e Xavi producono calcio stellare, Sir Alex Ferguson costretto ad accettare un verdetto inappellabile, una sola squadra il campo, anche se per un'ora la speranza era rimasta viva, però nessuno dubitava della destinazione del trofeo, destinato a una schiera di marziani, scesi a terra a insegnare calcio. Erano partiti, gli inglesi, con grande aggressività, ritmi alti e pressione per sterilizzare la ragnatela spagnola, lanci lunghi a cercare Rooney, ma presto si è tornati alla normalità. Per il Barcellona, imbarazzante superiorità nel possesso di palla, dopo metà gara i bilanci avrebbero parlato di otto tentativi a rete contro due per i catalani, allo spettacolo autentico regalato dalla finale più attesa di sempre avrebbe contribuito però anche il Manchester, difesa attenta e predisposizione al sacrificio, visto Rooney salvare nella propria area. L'equilibrio si è rotto prima della mezz'ora, quando sul solito taglio in verticale è scattato Pedrito, fulminando Van der Sar nell'angolo vicino, dalla destra dell'area. Bravi gli inglesi a non disunirsi, quando sembrava che i blaugrana potessero imperversare, creando molte altre occasioni da gol. Ha riportato l'equilibrio una fiammata, sia pure originata da una palla persa malamente sulla tre quarti: delizioso il duetto tra Rooney e Giggs, assist del gallese e splendida conclusione del centravanti. Tutto rimandato alla ripresa. Che però non avrebbe modificato la fisionomia della gara: Barcellona da incanto, l'orgoglioso United costretto a fare da sparring, quasi assistendo alla manovra corale dei rivali. Non sterile, però, ma in grado di liberare al tiro i suoi campioni, ai quali era già bravo a opporsi il vecchio Van der Sar, costretto infine alla resa sul capolavoro di Messi, assistito da Iniesta, e sullo splendido destro a giro di Villa, ispirato da Xavi. C'erano ancora da giocare venti minuti, ma il destino della 56. finale europea appariva segnato dalle legge del più forte. Certo, per l'Italia che due anni fa aveva ospitato la finale di Champions in un impianto del tutto inadeguato alle esigenze del calcio, il maestoso scenario di Wembley dovrebbe indurre a profonde meditazioni. Tutto perfetto, dalla grandiosità delle tribune, all'erba perfetta, alle vie di accesso comode, a un servizio d'ordine rispettato dalle tifoserie, forse non potremo neanche sognarcelo, un tempio come quello londinese.  Anche se, rispetto alla qualità attuale dei nostri stadi, basterebbe anche molto meno. A chiusura del sipario, torniamo alle malinconie di casa nostra, per prendere congedo dalla stagione. Stasera a Roma. Palermo e Inter si contenderanno la Coppa Italia, competizione che nella storia era stata anche ricca di suggestioni e spinte emotive, prima che i soloni della Lega la svillaneggiassero con formule schizoidi. Per i dominatori di tante stagioni recenti sarebbe un piccolo ornamento in più su maglie già cariche di medaglie, per i siciliani un momento storico dopo due tentativi ampiamente datati: e falliti. Tra meno di una settimana ultimi appuntamenti azzurri, quello di venerdì a Modena, con l'Estonia, potrebbe già sancire la promozione al Campionato d'Europa, della successiva amichevole con l'Irlanda non si vedeva francamente la necessità.  

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