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Questo sport può uccidere all'improvviso

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Lemonoposto diventano sempre più indistruttibili, i piloti sono imbozzolati fra morbide schiume assorbi-urto, le vie di fuga attorno alla pista diventano di anno in anno più sconfinate, eppure il pericolo è sempre lì, incombente e minaccioso perché insito nella natura di una competizione basata sul coraggio degli uomini e sulla velocità delle macchine cui essi affidano il proprio destino. E' anche per questo che a noi comuni mortali piace guardare le corse in tv, confessiamolo senza ipocrisie. Una F1 che non fosse potenzialmente letale non ci sembrerebbe altrettanto affascinante. E' un paradosso, ma certo non un caso, che, ieri, a risvegliare il voyeur che è in noi sia stato proprio il circuito più lento del mondiale. Da 1929, anno del primo Gran Premio corso sulle sue stradine, Montecarlo ha cambiato tutto il cambiabile, raddrizzando dove si poteva raddrizzare, eliminando strettoie, marciapiedi e barriere, strappando spazio al mare per regalare ai bolidi spiazzi d'asfalto dove smorzare la loro furia in caso di problemi, sostituendo le balle di paglia con protezioni via via tecnologicamente più avanzate per imbottire quegli ostacoli che proprio non si potevano togliere. Eppure c'è un punto, la variante che immette sul lungo-porto dopo il tunnel sotto al Loews, che rimane il più pericoloso del mondo a dispetto di ogni intervento. Nel corso di quasi un secolo la variante dopo il tunnel ha spesso imposto il pagamento di un elevato pedaggio a chi commetteva errori o eccessive imprudenze. Gli incidenti che ha provocato non si contano. Li ha provocati prima, ai vecchi tempi, quando era una velocissima esse che si percorreva a 280 chilometri l'ora con pochi centimetri di spazio a disposizione sul lato sinistro e ancor di meno sull'altro. Ma li ha provocati anche dopo, quando hanno cercato di disarmarla trasformandola in una lentissima chicane da percorrere in seconda sì da imporre ai piloti di frenare prima di imboccarla. Perché, prima, chi sbagliava sbatteva e spesso finiva in mare (ci mettevano pure i sommozzatori di soccorso), ma da quando è cominciato il "dopo" chi sbaglia la frenata va immancabilmente a sbattere contro l'aiuola che divide il lungo-porto dal controviale che lo affianca per duecento metri, fino alla famosa curva del Tabaccaio. La variante costò la vita a Lorenzo Bandini e, sia pur indirettamente, ad Alberto Ascari, morto a Monza in un test con la Ferrari che non avrebbe fatto se quattro giorni prima non avesse infilato nelle acque del porto monegasco la sua Lancia di F1. Alla chicane, invece, la F1 ha rischiato addirittura di chiudere i battenti nel 1994, quando, ad appena due settimane dall'orrendo weekend di Imola che era costato la vita a Senna e a Ratzenberger, il giovane pilota austriaco Wendlinger finì in coma dopo un incidente identico a quello occorso ieri a Perez. La pressione popolare per l'abolizione delle corse in automobile, già molto forte a causa dell'indignazione che la scomparsa di Senna aveva sollevato in tutto il mondo, fu ulteriormente alimentata da quell'episodio e davvero ci mancò pochissimo perché gli esempi di Svezia e Svizzera, dove i gran premi erano proibiti da tempo, venissero seguiti in tutto l'Occidente. L'incidente di Wendlinger, comunque,rappresentò un punto di svolta. Fu proprio per fronteggiare l'assalto degli abolizionisti, infatti, che cominciò l'escalation delle misure di sicurezza imposte dalla FIA sia alle scuderie nella realizzazione delle macchine sia ai circuiti perché eliminassero i punti più critici (e che, in parallelo, Ecclestone decise di impedire che le tv potessero continuare a trasmettere senza veli le cruente immagini del dopo-incidenti). Se le macchine del 2011 fossero simili a quelle del 1994, ieri il giovane Perez – uno che se metabolizzerà lo spavento di ieri farà carriera – sarebbe sicuramente morto. E noi non lo avremmo né visto né appreso se non qualche ora più tardi, da un bollettino medico.

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