Rosa dimezzata: è un'impresa quasi impossibile
Ha ancora un tentativo, il Palermo, per conquistare la Coppa Italia, dopo i due falliti tanti anni fa prima con il Bologna, poi con la Juve. Aspetta il Milan al quale concede poco o nulla, nella ripresa mette la testa fuori, trova il gol con Migliaccio, raddoppia su rigore, fallo che costa il rosso a Van Bommel e trasformazione di Bovo, poco dopo espulso a sua volta. Parità numerica ristabilita, ma l'ingresso di Ibra produce un palo e un gol tardivo, inutile. Comunque vada stasera, non ci sarà derby nella finale romana. Avrebbe potuto avere una svolta decisiva in chiave tattica, la partita, se in apertura Robinho non avesse confermato la sua renitenza al gol, mancando una facile occasione. Largo, ma sterile possesso di palla milanista, solida barriera siciliana fino ai fuochi d'artificio della ripresa, a sancire la promozione della squadra più meritevole, le sbornie si pagano. Per designare la seconda finalista, ancora la nostalgia del «c'era una volta», quando la seconda competizione nazionale, con tutti i suoi limiti di impostazione, era un fatto privato tra le due protagoniste del campionato. Una tradizione sconvolta dalle assidue invenzioni che la Lega non ha mai risparmiato a nessuno, dalle squadre più forti gratificate dal fattore campo nelle fasi eliminatorie, fino alla caotica attribuzione delle teste di serie in un seeding soltanto graficamente tennistico, poi il sorteggio a cancellare le credenziali dei meriti. Così Roma e Inter sono state tagliate fuori dalla chance di giocarsi quella finale che tanti palpiti aveva regalato per stagioni su stagioni. Per di più, il già discutibile equilibrio è stato ulteriormente modificato dall'impresa dei nerazzurri all'Olimpico, alla quale dovrebbe rimediare una Roma già orfana degli squalificati Totti e Taddei e alle prese con gli acciacchi di altri possibili titolari, da Vucinic, a Cassetti, a Rosi. Non dovesse farcela il montenegrino, diventerebbe esecutiva l'assoluzione postuma impartita da Montella a Menez, che suona tanto di rumore di unghielli su superficie levigata, insomma arrampicata sugli specchi. In realtà gli apprezzamenti rivolti dal tecnico al francese somigliavano molto a una bocciatura senza appello, secondo una moda cara alla storia della Roma, in tempi remoti e recenti, cioè il pervicace svilimento dei suoi capitali. Stabilito, secondo il giudizio dell'allenatore, che il francesino è un brocco, difficile pensare a una fila di compratori ai cancelli di Trigoria, a meno di non esporre cartelli annuncianti prezzi da liquidazione. Naturalmente a questa operazione autolesionista non è mancato il silenzio-assenso di una società che pure rivendica, in altre iniziative, pretese decisionali senza capo né coda. Le speranze di ritrovare l'Olimpico da finalista sono, per i romanisti, decisamente labili, anche per i problemi di formazione. Un dato in comune con la trasferta di Champions in Ucraina: l'Inter, con Leonardo al timone, ha giocato undici partite al Meazza, vincendole tutte. Non proprio il più confortante dei viatici per una Roma che nell'ultimo scorcio di stagione continua a palesare disagi imbarazzanti. Ma, in fondo, giocare contro pronostico garantisce almeno un po' di spensieratezza.