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Per Mourinho primo «titulo» spagnolo Ma i tifosi del Real non lo amano ancora

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«Ilnumero uno», per Cristiano Ronaldo e per qualunque altro giocatore allenato in undici anni di gloriosa carriera. Uno sciame di complimenti e attestati di stima che lui, Josè Mourinho, accoglie in silenzio ma ben volentieri. Lui, l'ex professore di educazione fisica di Setúbal, sa solo vincere. L'ultima perla, la 18ª, è arrivata mercoledì a Valencia, nella finale di quella Copa del Rey che il Real Madrid non riusciva a conquistare da 18 lunghissimi anni. La soddisfazione è grande, perché battere il Barcellona sembrava impresa impossibile appena cinque mesi fa, quando lo «Special One» uscì dal Camp Nou umiliato dalla «manita» blaugrana. «Sono fortunato - ha spiegato in passato Mou - perché ho deciso di fare l'allenatore da giovane: avevo solo 20 anni, quindi 15 di vantaggio su tutti gli altri». Basta questo per spiegare gli incredibili successi dell'ex traduttore di Bobby Robson? No che non basta. In undici anni Mou ha vinto sei campionati, una coppa Uefa, due Champions più un discreto numero di coppe e supercoppe. Ora, con il trionfo nella Copa del Rey, lo «Speciale» è anche diventato il primo tecnico della storia a conquistare quattro coppe nazionali con quattro squadre - Porto, Chelsea, Inter e Real Madrid - di quattro diversi paesi. Numeri di un fenomeno, numeri di Josè Mourinho, un uomo per cui Zlatan Ibrahimovic - un altro che di scudetti se ne intende - «si sarebbe ucciso». Quale il segreto? Impossibile saperlo. «Me l'hanno chiesto in tanti – ha confessato nella sua autobiografia Frank Lampard – se ciascuno mi avesse dato una sterlina, ora avrei abbastanza soldi per pagare Mou e farmelo rivelare di persona». Il segreto, forse, è scritto nella Bibbia dello «Speciale», quel nugolo di appunti messo insieme con pazienza e custodito con gelosia. Primo comandamento: «Motivazione più ambizione più spirito più squadra uguale successo». Facile a dirsi, meno a realizzarsi. Il resto è conoscenza, applicazione, serietà, carisma e persino la giusta dose di cinismo. Mou non è affatto un «pirla», come lui stesso annunciò appena sbarcato in Italia. Qualche volta esagera con parole e comportamenti, spesso lo fa apposta, ma qualunque cosa tocca si trasforma in oro. Dovunque sbarca vince, scappa e lascia dietro di sé lacrime e rimpianti. Solo al Real sembrano odiarlo, perché ha perso la Liga e non sfida il Barcellona a viso aperto. Intanto, però, ha messo in bacheca il primo trofeo. Gli altri festeggiano, lui già prepara la semifinale Champions sognando il secondo scherzo ai fenomeni di Guardiola. Scommettiamo che una vittoria in Europa farebbe cambiare idea anche ai tifosi spagnoli?

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