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Grazie di tutto Sotto la sua gestione il terzo scudetto giallorosso

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Delineato,anzi statuito, nel momento in cui la Roma è passata nelle mani di una banca, in realtà certificato soltanto adesso, con le firme su contratti resi complessi dai chiaroscuri di bilancio. A Boston si è concluso il ciclo della famiglia Sensi, diciotto anni non tutti al massimo dello splendore, ma un bilancio complessivo meritevole di ringraziamento. Soprattutto in considerazione della profondità del baratro nel quale la società era piombata, intravedendo lo spettro del fallimento, prima che intervenisse in soccorso la mano generosa di un tifoso di razza come Franco Sensi. Una famiglia che ha da sempre portato nel cuore il giallo e il rosso dei vessilli capitolini, forse tra i più giovani neanche tutti sanno che l'ingegner Silvio, papà di Franco, era stato uno dei fondatori di quel sodalizio nato, nel 1927, dalla fusione tra Roman, Fortitudo e Alba, e uno dei costruttori del leggendario Campo Testaccio. Ma ben prima di arrivare a governare la società, Franco aveva partecipato attivamente alla gestione, era vicepresidente quando nel 1961 la Roma ospitò nelle sue bacheche il primo e unico trofeo internazionale, la Coppa delle Fiere vinta nella doppia finale con il Birmingham. Poi sulle ragioni del tifo prevalsero quelle della gestione di molteplici attività industriali, dal petrolio all'editoria all'edilizia. Sarebbero passati trent'anni, prima di poter rivolgere nuovamente l'attenzione all'amore di sempre, ma in attesa di sedersi sulla poltrona presidenziale, Franco Sensi avrebbe vissuto un'altra parentesi amara. Sporche ingerenze politiche avrebbero rimandato di un anno il suo avvento (a prezzo artatamente lievitato), la società nelle mani di Giuseppe Ciarrapico, disastro senza precedenti, tecnico, economico, di immagine. Non vuole essere, questa, la celebrazione di una saga familiare, quanto un onesto bilancio di un'attività condotta in prima persona per tanti anni, dopo la breve parentesi di cogestione con Mezzaroma, un consuntivo nel quale le luci hanno larga prevalenza sulle ombre: emerse, queste, soprattutto dopo che la malattia aveva relegato ai margini il capostipite. Un'avventura influenzata, nella fase di avvio, dal troppo amore verso la città della quale Franco Sensi si sentiva figlio a tutti gli effetti. Facile interpretare lo stato d'animo che aveva portato sulla panchina Carletto Mazzone, tecnico abile e appassionato, ma anch'egli condizionato da un eccesso di affetto per i colori. Stagioni senza conquiste, quelle invano sperate dai tifosi una volta che l'economia della società era stata rimessa in sesto con notevoli sacrifici personali del nuovo titolare. Scarsa esperienza anche alla base della scelta, che molti dei suoi vecchi amici, tra i quali ho avuto il privilegio di figurare, gli avevano sconsigliato. Scommessa azzardata, quella su Carlos Bianchi, che l'Europa e il suo calcio aveva conosciuto soltanto da giocatore, in Francia. Se il tecnico argentino aveva scelto come suo alfiere tale Trotta, presto scomparso dalla circolazione, forse idee tanto chiare non ne aveva. E Franco Sensi, dopo averlo difeso a rischio di litigare con tutto e tutti, alla fine si arrese all'evidenza, richiamando il vecchio Liedholm per chiudere una stagione tuttavia amara, dodicesimo posto. Nonostante il calcio italiano soffrisse il potere, neanche tanto occulto, delle cupole nordiste, il tifo ricorda con affetto le stagioni di Zeman, al cui fianco il presidente condusse una coraggiosa battaglia contro nemici troppo potenti. Sarebbe infine giunto l'uomo che sapeva vincere dovunque, Fabio Capello, a riportare a Roma uno scudetto sospirato da diciotto anni, a sfiorarne altri, qualcuno smarrito con molti rimpianti. Quella conquista avrebbe lasciato strascichi negativi di bilancio, la riconoscenza verso i suoi campioni avrebbe indotto Franco Sensi a spese quasi insostenibili, soprattutto per rinnovi di contratto lunghi e onerosi. Era finita insomma l'epoca dell'oro, anche perché il patron aveva deciso di avventurarsi in una serie di iniziative poco felici: non soltanto industriali, Italpetroli, Aeroporti di Roma, porto di Civitavecchia, ma perfino in campo calcistico, gli inspiegabili investimenti nel Palermo e perfino nel Nizza. Situazione difficile da gestire, virtualmente ai margini papà Franco, fino alla scomparsa, quella ereditata da Rosella, costretta ad affrontare ostacoli proibitivi. Le si deve riconoscere il grande impegno, forse non delle più felici la scelta dei collaboratori in settori cruciali della società. Comunicazione azzerata, marchio e merchandising infruttuosi, qualche decisione discutibile anche sul piano della gestione tecnica. Certo, con poche lire non si può pretendere la luna, però i parametri zero non sempre sono regali produttivi, qualche spreco si poteva evitare, vedi le spese per Cicinho e Julio Baptista, poi la follia conclusiva con la famosa scommessa su Adriano. della quale ancora si attende una spiegazione, con precise indicazioni dei responsabili. Ma nel momento in cui un lungo legame si spezza, per problemi insormontabili, la gratitudine del popolo giallorosso verso Franco Sensi non può venire meno. Alla famiglia che ne ha sorretto l'impegno, l'augurio di un futuro baciato dalla serenità, lontani i veleni e le polemiche.

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