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Ciao Bob

Roberto

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In un giorno dove il cielo biancoceleste ha deciso di nascondere il sole per versare sulla capitale una pioggia impregnata di lacrime, se qualcuno avesse provato a scrivere la parola Lazio e poi a scomporla avrebbe sgranato gli occhi nel vederla così riassembalata: Lovati. Sì, perché il caro vecchio Bob è stato e sarà la Lazio, come aveva scritto su uno striscione di qualche anno fa la Curva Nord. Se n'è andato ieri a 83 anni, Roberto Lovati, accompagnato dal ricordo di chi lo ha conosciuto di persona, scoprendone quel lato un po' british condito di classe e ironia che lo rendeva irresistibile soprattutto tra il gentil sesso, e da quello di chi lo ha amato a prescindere per il suo essere stato una bandiera di una Lazio che in 50 anni vissuti tutti d'un fiato in lui ha trovato un rassicurante elemento di continuità. Arrivato nel 1955 come portiere della prima squadra della capitale il vecchio Bob ha poi ricoperto i ruoli più disparati. Da giocatore è stato uno degli eroi che, con Bernardini in panchina e 70.000 spettatori sugli spalti dell'Olimpico, superò nel 1958 la Fiorentina 1-0 per la prima Coppa Italia. L'addio al calcio arrivò presto, a 34 anni, con 2 presenze in Nazionale, mille e mille parate, una cicatrice sulla fronte rimediata in una delle sue uscite spericolate e l'incubo del romanista Da Costa, bestia nera di tanti derby. Ma la sua storia d'amore con la Lazio non poteva chiudersi lì. Attaccati gli scarpini al chiodo quel legame viscerale e forte si è cementato. Lovati da allora in biancoceleste è stato tutto: tecnico delle giovanili (2 scudettini), osservatore, dirigente, vice allenatore della prima squadra (fu la spalla-confidente di Maestrelli nella cavalcata tricolore del '74) di cui spesso è diventato la ciambella cui aggrapparsi nel mare in tempesta. Come nel '71 quando, con la Lazio appena retrocessa in B e pronta a passare nelle mani di Maestrelli, la guidò alla conquista della Coppa delle Alpi. O soprattutto nel 1979-80, quando con la squadra decimata dal primo calcio scommesse riuscì nel miracolo di assemblare la squadra primavera con Garlaschelli e D'Amico per ottenere sul campo una inutile salvezza suggellata nello storico Lazio-Catanzaro 2-0. Superando le onde di annate anonime e difficili è approdato all'era-Cragnotti divenendo l'uomo fidato cui Zoff, Zeman ed Eriksson affidavano le relazioni sulle squadre avversarie. Ha brindato ancora da protagonista ai grandi successi di quegli anni arrivando a un addio, che mai avrebbe voluto, con l'avvento di Lotito. Ma una storia d'amore, vera e di passione, non finirà mai. Ha detto Tolkien che le radici profonde non gelano. E a ragione quelle del vecchio Bob resteranno saldamente piantate nella ultra centenaria storia della Società Sportiva Lazio 1900.

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