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«Ripicche, capricci e la società mi ha lasciato solo»

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Unuomo che alla fine ha fatto da capro espiatorio per tutto e tutti: forse anche troppo. L'ex tecnico giallorosso si racconta a partire dal milione di euro al quale ha rinunciato con le sue dimissioni. «La dignità non è un assegno - spiega - e se a Torino mi son fatto pagare è perché il feeling non era lo stesso. Qui era diverso, non mi sarei potuto più guardare in faccia». E non ditegli che senza di lui la Roma è tornata ad impegnarsi. «E sarei io l'incompetente? Quando sono arrivato nel 2009 la Roma era ultima in classifica: mi chiedo dov'è la verità?». Esclude che la squadra gli abbia giocato contro. «No, mi sono confrontato più volte con i giocatori». Il problema era e resta la società: un rinnovo contrattuale promesso e mai arrivato. «Non è stato possibile, ma l'investitura sul mio futuro sarebbe stato un segnale: quando 20 persone sanno che sei in bilico è difficile mantenere l'armonia». Nessun dubbio su quali siano state le cause del naufragio. «Le troppe voci, le false notizie: arriva Angelini, poi Angelucci, o gli americani. Eppoi ci sono state reazioni che andavano punite: calci a borse, musi lunghi, labiali in diretta tv. Non è accaduto e si è fornito il lasciapassare per l'anarchia. Totti? Non abbiamo mai litigato, Francesco è la bandiera della Roma e nello spogliatoio è più solo di quanto non appaia». Su Borriello. «Voleva giocare sempre anche quando era stanco». E Pizarro: «L'ho difeso e cercato di parlargli, ma lui non mi guardava mai in faccia». Quindi la preparazione. «Capanna è un luminare, il problema è che correvano sempre gli stessi. La squadra adesso non ha bisogno di altri alibi». E la nota positiva: Burdisso. «Bellissimo, lui non si nasconde e ti guarda sempre negli occhi...». Messaggio chiaro. Tiz

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