Addio Rubini Principe dello sport
Gliultimi mesi di Cesare Rubini sono stati difficili, segnati da un male che si era vigliaccamente impossessato di quel corpo d'atleta e di una delle menti più fervide dello sport italiano. Facile pensare che abbia combattuto fino in fondo, come era solito fare lui, triestino di ferro. Era nato in quella che considerava la città più bella del mondo nel 1923 e da lì era partito per un lunghissimo viaggio in giro per l'Italia seguendo la passione dei due sport, la pallanuoto ed il basket, che lo hanno visto essere protagonista come solo i fuoriclasse sanno fare. In vasca, dopo che nel 1946 s'era già preso il lusso di mettersi al collo un argento da cestista, ha colto la più grande gioia con l'oro alle Olimpiadi di Londra. La scelta della piscina a scapito dei canestri nell'edizione dei cinque cerchi britannici gli valse per qualche mese il litigio con i suoi amici più cari. Giancarlo Primo, che poi proprio Rubini chiamò alla guida della Nazionale di basket, faticò a perdonarlo. «Preferì puntare all'oro, lasciandoci in mezzo ai guai. Voleva la medaglia e la ottenne. E noi arrivammo diciasettesimi». C'era un pizzico d'invidia in quelle parole perché Rubini con il Settebello aveva ottenuto ciò che il basket nella sua storia non avrebbe poi mai conquistato. Il richiamo della palla a spicchi fu però troppo forte e lui, il «Principe» svestì la calottina e tornò allo sport più amato per cambiarlo e renderlo moderno. Lo fece cucendosi sul petto 5 scudetti consecutivi da allenatore-giocatore dell'Olimpia Milano, cui se ne aggiungeranno altri 10 da coach tra il 1957 e il 1972, con una Coppa dei Campioni nel 1966. Rubini aveva capito con largo anticipo che oltre a curare i dettagli sul campo bisognava aprirsi verso la gente per conquistare il grande pubblico. Proprio lui, uomo scontroso e dalle poche parole, fu il primo vero grande comunicatore del basket. Aveva innate capacità di comando ed organizzative e le mise anche al servizio del movimento divenendo il temuto, ma rispettato, capo del Settore Squadre Nazionali della Fip. Con lui arrivarono i grandi successi: l'argento all'Olimpiade di Mosca del 1980 e il primo titolo europeo a Nantes nel 1983, con il pupillo Gamba in panchina. Non è un caso che gli americani gli abbiano aperto le porte dell'Hall of Fame nei due sport in cui ha primeggiato. «Era una persona eccezionale - le parole di un commosso Dino Meneghin - e un grandissimo personaggio. Solo così si può spiegare la sua grande forza e come sia riuscito a far parte di due Hall of Fame. » stato un innovatore ha inventato la pallacanestro moderna, la sua spettacolarizzazione, l'idea della creazione della notizia per portare il basket fuori dal basket. Era un personaggio che incuteva rispetto, anche solo con la sua presenza e senza aprire bocca, ma era capace di grandi gesti con i suoi giocatori». Che lo hanno amato e rispettato. Come si deve ad un grande Principe.