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Usa in pole

Roma, sogno americano

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Americani ancora in vantaggio, l'opzione araba «irricevibile», Angelucci al momento fuori dai giochi ma non rassegnato. Al termine di un'altra giornata convulsa, tra studio delle carte e contatti incrociati, il futuro della Roma sembra avviarsi verso gli Stati Uniti. Ieri mattina i dirigenti di Unicredit hanno iniziato ad analizzare e comparare le cinque offerte vincolanti raccolte lunedì sera da Rothschild e consegnate per conoscenza anche alla famiglia Sensi. Ma ormai è la banca a decidere: bocciate in partenza le proposte di un gruppo francese non meglio identificato e di un fondo di capitali misti Usa-Medioriente, restano al vaglio quelle presentate da Thomas DiBenedetto & Co., dal fondo Aabar e dall'imprenditore romano Giampaolo Angelucci. Dell'offerta americana si sapeva già tutto, visto che è stata concordata e «aggiustata» durante gli incontri della scorsa settimana a New York: circa 120 milioni per l'acquisto del club, più impegno a dividersi le quote (60% e 40) con la banca, aumento di capitale garantito e business plan dettagliatissimo, con l'obiettivo di rilanciare la Roma e il suo marchio. Angelucci offre meno, circa 100 milioni di euro, e promette di investirne altrettanti per rafforzare il club. Ma pare non basti per il «sorpasso». Sugli arabi, invece, sono sorti parecchi dubbi, sia sui nomi coinvolti nell'operazione, sia sulla consistenza dell'offerta: si sospetta addirittura che dietro la proposta recapitata dalla società lussemburghese Claraz Sa non ci sia il fondo Aabar. Domani è fissato un vertice al quale parteciperanno Piergiorgio Peluso per Unicredit, i rappresentanti di Rothschild e i componenti del cda di Italpetroli e Roma 2000 Rosella Sensi, Attilio Zimatore e Antonio Muto. Non sarà questa la riunione in cui verrà proclamato il vincitore: secondo quanto si apprende, si tratterà soltanto una prima riunione per esaminare le cinque offerte con tutte le parti ed eventualmente chiedere ulteriori approfondimenti agli acquirenti. Unicredit ha pensato di creare un'altra shortlist con due o tre soggetti e avviare trattative separate one-to-one prima di arrivare alla decisione finale. Ma a questo punto non è escluso che si proceda direttamente con gli americani: l'impressione è che all'interno della banca esista una differenza di vedute. Il gioco si complica e la storia di questa vicenda infinita si ripete. Come nel 2008, un'offerta che nessuno si aspettava ha scombinato un puzzle ben definito. Tre anni fa, al momento di firmare l'accordo con i rappresentanti di Soros, spuntò una fantomatica proposta araba. Effetti: fuga degli americani e nessuna traccia dello sceicco. Stavolta la «sospetta» offerta di Aabar ha quantomeno rimescolato le carte e turbato DiBenedetto & Co.. La domanda sorge spontanea: è possibile che la banca non sapesse che il fondo Aabar, suo maggiore azionista con il 4,99% delle quote, era pronto a presentare un'offerta? No. E allora: per quale motivo volare a casa degli americani e raggiungere un'intesa? L'intrigo continua. Intanto il titolo in Borsa ha guadagnato il 3,57%, il sindaco Alemanno si è detto certo che «la Roma finirà in buone mani», mentre secondo la presidentessa della Regione Renata Polverini «le cose stanno procedendo come dai programmi».

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