Il duplice messaggio della Fiat
Sempreuguale a se stessa ma sempre diversa, la cerimonia di presentazione di una nuova Ferrari propone abitualmente tre piani di lettura: tecnico, comunicazionale, politico. Col passare degli anni il piano tecnico, è diventato via via il meno centrale. Le ristrettezze regolamentari lasciano poco spazio all'inventiva dei progettisti e le nuove Ferrari sembrano ormai uguali a quelle vecchie (e a tutte le altre macchine di F1), anche perché il giorno della presentazione le - eventuali - poche caratteristiche originali vengono accuratamente nascoste. La comunicazione? Mah. Ormai si sa tutto prima, persino il nome della macchina, e dunque da questo punto di vista si ripropone ormai pedissequamente uno (stanco) cliché fatto di luoghi comuni e logori slogan, un rituale che ha perso ogni sacralità per trasformarsi nel più prosaico degli obblighi verso gli sponsor. Di veramente interessante resta, perciò, il piano di lettura «politico», che propone spunti interessanti non tanto nelle parole pronunciate quanto nella mera logistica delle presenze in prima fila. Ed è proprio qui che la presentazione della F150 ha offerto la più ghiotta indicazione della giornata, assai più significativa di alettoni, sospensioni e kers vari. La presenza di John Elkann e Sergio Marchionne sta infatti a significare due cose. Primo: la Fiat sente «sua» la Ferrari come mai in precedenza, al punto da sottolineare il proprio impegno totale mettendoci la faccia di presidente e ad. Secondo: siccome Elkann e Marchionne alla loro faccia ci tengono, nel caso in cui la Ferrari dovesse fallire un'altra volta i due non si limiterebbero a fuggire alla chetichella, come fecero lo scorso 14 novembre dopo l'harakiri di Abu Dhabi. Ecco perché il lancio della F150 non è stato, a dispetto delle apparenze, un lancio qualunque. La presenza di Elkann e Marchionne ha comunicato, sia ai diretti interessati sia agli osservatori esterni, che non ci sarà un'altra prova d'appello né per il management né per i piloti, a cominciare da quell'Alonso che nel 2010 ha compromesso con i suoi errori iniziali una stagione che poteva colorarsi di rosso ben prima della fatale smarronata del povero Chris Dyer, il capro espiatorio oggi disperso lungo la Via Giardini, lo stradone di Maranello che divide la fabbrica delle Gran Turismo dalla Gestione Sportiva.