L'uomo della svolta
Domani ricorrerà il ventesimo anniversario della scomparsa di Dino Viola. L'uomo che da presidente riportò in pianta stabile la Roma tra le grandi del campionato dopo un lungo periodo di anonimato. Arrivato alla guida della società nel 1979 si prefisse subito l'obiettivo di costruire una squadra capace di contendere lo scudetto alle grandi del nord e, in particolar modo, alla Juventus, in quegli anni dominatrice del calcio italiano in campo e fuori. Per farlo riportò immediatamente a Roma il miglior allenatore del momento, Nils Liedholm, fresco campione d'Italia con il Milan e intorno a lui costruì il suo progetto, che risultò vincente anche perché seppe inserirsi negli ingranaggi del potere senza restarne stritolalo ma, anzi, mettendolo in seria difficoltà. Le sue battaglie contro il Palazzo diventarono epiche e finì con il vincerle quasi tutte. Dal tesseramento di Cerezo all'apertura agli allenatori stranieri. Con lui la Roma diventò fortissima, conosciuta e apprezzata in tutta Europa. Sigaretta in mano, sorriso beffardo sul volto e frasi in perfetto «violese» chiuse quasi sempre con la domanda «Giusto?» rivolta all'interlocutore divennero le armi letali con le quali scosse l'ingessato mondo del pallone italico, che cambiò molte delle sue abitudini e delle sue norme proprio grazie alle sue battaglie. L'unico, in tempi in cui il calcio era ancora gestito in forma familiare o patronale anche ad alti livelli, a capire quanto fosse importante per una società calcistica avere uno stadio di sua proprietà. Un obiettivo che non riuscì a realizzare solo per colpe altrui, ma per il quale si batté con ogni risorsa fino alla fine dei suoi giorni, causata da una grave quanto rapida malattia che lo portò via sabato 19 gennaio 1991. Alla vigilia della gara casalinga di campionato della Roma contro il Pisa, che venne giocata in un Olimpico listato a lutto. Prima del match Nela e Giannini salirono in tribuna a deporre dei fiori sulla poltroncina solitamente occupata dal presidente e la commozione raggiunse vette altissime, al punto di tagliare le gambe agli stessi giocatori giallorossi, che poi persero 2-0. Ma nessuno, quel giorno, si accorse del risultato. Il pensiero di tutti era solo per il grande presidente che non c'era più. Quello dello scudetto dell'83 e delle 5 Coppe Italia in 12 anni che lo fanno essere ancora oggi il più vincente della storia della Roma. E il popolo romanista non l'ha più dimenticato, tanto che ancora oggi gli porta sempre dei fiori, rigorosamente giallorossi, sulla tomba in segno di affetto e riconoscenza eterni.