Gottardi, l'uomo della svolta

Guerino Gottardi, 41 anni, 145 presenze e 5 gol con la maglia della Lazio. Il 21 gennaio 1998, si gioca Roma-Lazio quarto di finale di coppa Italia. I biancocelesti avevano vinto all'andata 4-1 ed avevano battuto già la Roma in campionato per 2-0. Al 94' Gottardi scatta in contropiede e brucia Konsel regalando la vittoria per 2-1 ai biancocelesti, diventando un eroe laziale. «Mi ricordo poco di quell'attimo, ma ho bene in mente la gente che mi ferma per strada ancora adesso per quel gol. Sono entrato nella storia della Lazio, ma non me ne sono reso conto subito». Che significato ha avuto quella rete? «Da quel gol, da quella vittoria, è iniziata tutta la storia importante di quella Lazio. È stato un primo tassello. Abbiamo vinto i derby, quindi la coppa Italia, che ci ha dato accesso alla Coppa della Coppe». Quel gol fu raccontato anche dai romanisti con enfasi negativa, come un'umiliazione. «Mi ricordo questa cosa, mi fa sorridere, certo per me non è stata un'umiliazione». Cosa ricorda dei quattro derby vinti nel 1997-1998? «Dopo aver vinto il primo avevamo acquisito una certa sicurezza. Loro, di contro, si erano intimoriti. Credo avessimo ottenuto un vantaggio psicologico. La preparazione al derby, comunque era particolare, a Roma li senti sempre. Io ero un po' teso, ma per alcuni compagni romani, come Alessandro Nesta, era davvero un'altra cosa».   I tifosi l'amavano, perché? «Ero un combattente, cercavo di dare sempre il massimo. Penso che la mia semplicità abbia conquistato i tifosi. Il coro "mi diverto solo se, solo se gioca Guerino" ogni tanto lo fanno ancora. Non ero un campione, eppure avevo un coro tutto per me. La cosa mi dà molta soddisfazione, vuol dire che ho fatto qualcosa di bello». Non era un campione, ma ha non ha mai sfigurato in campo. «Devo ringraziare i compagni, quasi tutti di grande livello. Quando giocavano le nazionali eravamo 4-5 ad allenarci a Formello. Ma i miei compagni mi stimavano e questo mi dava tranquillità. Allora avevo legato in particolare con Nedved e Stam perchè parlavo le lingue, adesso mi vedo spesso con Favalli Cesar e Negro». Quello era un grande gruppo? «Sì, eravamo uniti. Uscivamo tutti insieme, anche se magari c'erano delle incomprensioni tra alcuni di noi. Oggi è più difficile, ci sono diversi gruppetti negli spogliatoi. Eriksson era un signore nel gestire dentro e fuori dal campo i suoi ragazzi».   Gli altri allenatori che ha avuto alla Lazio? «Zeman mi ha insegnato tanto offensivamente, l'unica cosa che magari gli contestavo allora è che ascoltava poco i calciatori. Zoff era eccezionale, un idolo per noi, era bravissimo nel tenere insieme il gruppo, era carismatico. Con Mancini, ho giocato poco». Zaccheroni? «Con lui ho vissuto l'unico derby che non ho vinto di quelli che ho disputato (la Lazio perse 5-1 il 10 marzo 2002). Avrei dovuto giocare quella partita dall'inizio. Ero reduce da un infortunio, e quando siamo entrati nel pullman io stavo già parlando con Alessandro Nesta su come metterci in campo. Ad un certo punto Zaccheroni mi chiese se avevo i novanta minuti nelle gambe, io gli risposi che ero pronto, ma lui non era convinto e cambiò idea nel tragitto verso lo stadio. Giocò Dino Baggio terzino sinistro, meglio non ricordare quella gara». Qual è il ricordo più bello?  «Nella Lazio lo scudetto, con quella squadra avremmo dovuto vincerne due o tre». Mercoledì c'è il derby di coppa Italia, come lo vede? «La Roma ha qualità superiore, ma il derby in campionato doveva vincerlo la Lazio. Per prevalere i biancocelesti devono rischiare di più ed avere mentalità più offensiva. In campionato la squadra di Reja può arrivare in Europa». La Lazio ha problemi sulle corsie esterne. Lei avrebbe giocato titolare nella squadra attuale?  «Sicuramente in questa Lazio mi sarei divertito». Cosa fa attualmente?  «Faccio la spola tra Italia e Svizzera. All'estero ho attività immobiliari, poi a Roma do una mano nelle scuole calcio». Un'ultima curiosità. Quella maglia 17? Avevo cominciato a giocare in carriera col 17. Poi mia figlia è nata il giorno 7 e mio figlio il 10, e quindi anche nella Lazio scelsi quel numero».