«Mama 'buta la pasta che sto arrivando!».
Eranogli anni Ottanta, nel Belpaese regnava un look raccapricciante dove spalline esagerate, capelli ricci e biondo platino la facevano da padrone. I Duran Duran stavano esplodendo duellando con Spandau Ballet e Howard Jones, primi dandy di un nuovo movimento in arrivo dall'Inghilterra che avrebbe condizionato non poco le nostre usanze. Lo sport era il calcio, solo il calcio. E il basket americano per molti era ancora un fenomeno da baraccone legato agli Harlem Globetrotters. Ma per gli appassionati prima e il grande pubblico subito dopo, arrivò questo omino anfetaminico che spalancò le porte dell'Nba all'Italia intera: Dan Peterson. La tv satellitare era lontana anni luce e i primi programmi per «addetti ai lavori» erano a orari improponibili su reti altrettanti sconosciute. Poi il boom che arrivò sull'onda del grande confronto etnico-politico della Nba tra i Boston Celtic e il Los Angeles Lakers. I primi emuli della squadra perfetta, del concetto di gruppo, con un leader pazzesco e non a caso bianco: Larry Bird. Gli altri il talento e la classe infinita del basket del popolo, ovviamente «colored»: Magic Johnson su tutti, ma anche il fantastico Kareem Abdul Jabbar. E proprio il lungo occhialuto dei Lakers ispirò uno dei must del momento: il mitico «gancio cielo» divenuto uno dei marchi di fabbrica del piccolo Dan Peterson. Quella parlata strascicata, che trasuda slang americano da tutti i pori, hanno fatto la storia delle telecronache sportive dell'epoca e scuola per quelle venute negli anni successivi. Eppoi Dan Peterson, oltre a un tempismo televisivo d'altri tempi (dieci anni avanti ai colleghi del momento e ancora oggi attualissimo), aveva ed ha, una conoscenza infinita della pallacanestro. Grande commentatore sì, ma altrettanto efficace coach dello sport definito da molti «il più bello del mondo». «I love this game» era lo spot che non a caso è sopravvissto ai decenni rimanendo il leit motive anche del basket moderno. Ai tempi Kobe Bryant e LeBron James camminavano appena o forse iniziavano a tirar palle a spicchi dentro un cesto senza rete nel cortile di casa, ma Dan Peterson esportava già il suo sport in giro per il mondo e aveva scoperto la nuova terra promessa: l'Italia. Ma non solo sport, perché Dan diventò un personaggio pubblico anche grazie a spot pubblicitari che hanno fatto la storia della nostra tv commerciale agli arbori. Quel «mmmh, mmmm... gud adia dan», non solo lanciò una bevanda a base di te, ma entrò nel linguaggio e nell'immaginario collettivo con la stessa efficacia del suo basket. E non tutti ricordano che fu proprio Peterson a portare in Italia (a livello televisivo s'intende) anche l'altro sport americano per antonomasia che fa impazzire i nostri ragazzini: il wrestling. Con lo stesso slang e uguale competenza, il «nano ghiacciato» raccontava le gesta di Terrence Gene Bollea: in arte Hulk Hoogan. Un mito, esattamente come il suo narratore... Grazie Dan!