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Due settimane su auto e moto tra rocce e sabbia

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.Il raid che dal 1979 misura le capacità di resistenza di uomini e mezzi nei posti più impervi del pianeta, mantiene dell'edizione che le diede il nome, solo l'invariato fascino: l'uomo a bordo o in sella a qualcosa che va veramente forte, contro la forza della natura. Il mito Parigi-Dakar non c'è più, perché le mille pulizie etniche e guerriglie intestine del Continente Nero, hanno consigliato agli organizzatori di migrare verso Paesi più tranquilli (?). Ecco allora la terza edizione della Dakar versione Argentina-Cile, un raid che ha di più morbido solo l'aspetto esteriore ma che massacra uomini e mezzi più o meno come la Parigi-Dakar che in trent'anni ha fatto circa cinquanta morti tra concorrenti e spettatori: ad oggi, comprese le due edizioni sudamericane, siamo arrivati quasi a sessanta. Ed è stato proprio l'interrogativo sul correrla o meno questa ennesima sfida al limiti del possibile, che ha animato come ogni anno la vigilia della partenza. Interrogativo che insegue da sempre gli organizzatori del raid più duro del pianeta, una corsa contro il tempo e le ostilità della natura che mettono l'uomo tecnologico e nudo. Una sorta di sfida impossibile che ti spinge oltre i limiti e che forse proprio per questo attre maledettamente i suoi partecipanti. Lo chiamavano mal d'Africa, ma l'affluenza alla terza edizione della «Dakar sudamericana» dimostra come la scenografia sia quasi un fattore marginale in questa gara che ha un solo obiettivo finale: arrivare. Meglio se davanti, ma la vera sfida è arrivare in fondo dimostrare al mondo, ma soprattutto a se stessi, che si può andare oltre i propri limiti. Anche quest'anno meno sabbia, più pietre, strapiombi e l'imprevedibilità della Terra del Fuoco: è la nuova avventura dall'altra parte del pianeta. La carovana è pronta a partire e sabato farà scattare per la trentaduesima volta il cronometro. Per i 428 piloti a bordo di auto, camion o in sella a moto e quad, si tratterà di vedersela con oltre novemila chilometri di imprevisti e tappe speciali da Buenos Aires (anche se il via della gara vera avverrà il giorno dopo da Victoria dopo un trasferimento), tagliando a metà l'Argentina per poi entrare in Cile e tornare, dopo quindici giorni, di nuovo nella capitale argentina. Percoso molto simile a quello dello scorso anno che vide lo spagnolo Sainz dominare tra le auto e il francese Depres nella categoria moto, ma studiato a fondo per stupire ancora: c'è insomma qualche variante molto interessante che non farà di certo venire il mal d'Africa agli amanti del Continente Nero. La Dakar in questo senso non fa prigionieri, l'obiettivo è arrivare a ogni costo e la risposta all'atavico questito per i piloti al via è già scritto: Dakar sì, a costo della vita.

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