Rabbia Balotelli. "Basta cretini"
Ci sono vite che corrono più in fretta del normale. A 20 anni e tre mesi Mario Balotelli è già stato il più giovane esordiente nell'allora serie C1, capocannoniere di un'edizione della Coppa Italia, vincitore di tre scudetti e di una Champions League. Ma, soprattutto, il nuovo simbolo da odiare nelle curve più becere degli stadi italiani. La colpa è un po' anche sua: «SuperMario» non è uno di quelli che in campo le manda a dire, e se ha zittito Cristiano Ronaldo dopo un contrasto in Champions vuol dire che il carattere non gli manca. Ma soprattutto perché Mario Balotelli, nato 20 anni fa a Palermo, è un italiano un po' particolare. Ha la pelle nera. I cori razzisti di Klagenfurt, indirizzati dalla quarantina di appartenenti al gruppo Ultrà Italia a un proprio connazionale, non hanno fatto altro che confermare come l'idea del calcio isola felice sia ormai un obiettivo irraggiungibile. Prima ci sono stati i «buuu», poi lo striscione «No alla Nazionale multietnica» che la polizia ha rimosso nonostante la resistenza degli ultrà: «Perché lo levate? - si lamentavano - Non è razzismo, è solo un'opinione». Per una volta, la colpa non è stata neanche del caratteraccio di Mario. «Questa volta sono stato "bravo" - ha detto lui il giorno dopo - e sono stato fischiato lo stesso. Sul momento ero molto deluso. In passato per episodi del genere avevo quasi voglia di lasciare il campo, ma poi sarebbe come darla vinta a dieci cretini. Ieri invece non l'ho mai pensato, in fondo era la mia seconda gara con la Nazionale...». C'è chi vorrebbe utilizzarlo come simbolo della lotta al razzismo. «Da solo io non posso fare nulla, dovremmo impegnarci tutti insieme», risponde lui con l'aria di chi ha solo 20 anni e non ce la fa a caricarsi sulle spalle una battaglia per i diritti. Ieri è stato il giorno della solidarietà. Messaggi dai compagni in azzurro Ledesma, Aquilani, Ranocchia, Gilardino e Quagliarella. Prandelli che promette «che la prossima volta lo abbracceremo tutti». Il vicepresidente Figc Albertini che si impegna a fare qualcosa per isolare queste persone. Mario incassa ma, dentro di sé, vorrebbe soprattutto passare inosservato. Vivere la sua vita, compresi tutti i suoi eccessi, senza l'aura del predestinato e, nel suo caso, anche del maledetto. «Dall'Inghilterra, dove gioco adesso e dove negli stadi c'è molta più civiltà, mi piacerebbe sentire che in Italia si parla più di razzismo e meno delle mie ragazze», spiega. In fondo quello di Balotelli non è un caso nuovo, pur in una nazione come l'Italia in cui l'integrazione deve ancora fare passi da gigante. Dieci anni fa, nella cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Sydney, gli atleti azzurri erano tutti schierati dietro a Carlton Myers. L'anno precedente, il riminese aveva trascinato l'Italia del basket alla vittoria dell'Europeo, così razzisti e imbecilli fecero buon viso a cattivo gioco. Come è successo per tanti altri atleti che hanno arricchito i nostri medaglieri, dalla saltatrice Fiona May alla pallavolista Tay Aguero, dal lunghista Andrew Howe al canoista Bruno Mascarenhas. Tutti sportivi che hanno avuto la fortuna di esibirsi lontani dalle curve del calcio. Quelle stesse curve che, col tempo, hanno imparato a rispettare e amare i vari Liverani, Okaka o Ferrari. Per Balotelli è diverso, pagherà ancora a lungo il suo essere antipatico, così insopportabilmente di successo eppure insoddisfatto, come quando segna un gol e non esulta. Sarà così fino a quando, magari, non riuscirà davvero a far vincere qualcosa all'Italia. «Se faccio gol con la Nazionale ai Mondiali allora esulto», ha promesso ieri. E forse lo farà anche chi, a Klagenfurt, fischiandolo ha soltanto offeso la propria intelligenza.