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Giada Oricchio La sabbia del deserto scivola sull'asfalto dell'avveniristico circuito di Abu Dhabi e scrive il nome del nuovo Re.

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SebastianVettel, è il più giovane campione del mondo nella storia della F1. Entra nell'albo d'oro come Surtess e Hunt cioè senza mai essere stato in vetta alla classifica se non nell'ultimo GP, quando contava. Ma nelle ultime corse è stato uno schiacciasassi: sempre avanti, sempre in pole. I non ordini di scuderia hanno dato ragione a Chris Horner, peccato solo per il trattamento inelegante riservato a Webber neppure invitato alla festa per il titolo Costruttori. Niente di personale, il predestinato era il prodotto del vivaio di Helmut Marko. Grandi investimenti su 116 piloti allevati fin da piccoli e tra questi la stella Sebastian: era fondamentale portarlo al trionfo. Semplicemente il «vecchio» Mark era il campione sbagliato al momento sbagliato. E Alonso? Beh, un uomo non può battere la macchina. Detto questo, il Mondiale piloti lo ha buttato via la Ferrari. Per marcare l'altro cacciatore, si sono lasciati sfuggire la lepre Vettel, questo e una serie di concause sfavorevoli è la chiave per capire il disastro rosso. Al verde Alonso sbaglia e Button gli prende un metro e da terzo diventa quarto, poi si mantiene cauto e prudente. A metà primo giro, Schumacher va in testacoda e Liuzzi gli monta sopra. Sfruttando l'ingresso della safety car Rosberg e i team minori giocano la carta vincente della sosta anticipata: precederanno le vetture del Cavallino sotto la bandiera a scacchi. Al 9° giro Webber tocca con la posteriore destra le barriere di protezione, non ha danni apparenti, ma si lamenta di «perdere il posteriore». È il «casus belli» che cercava la Red Bull per sacrificarlo. Colgono la palla al balzo e lo fanno rientrare al 12° giro (mescole dure). È l'inizio della fine sua e di Alonso. La Ferrari va nel pallone: fa rientrare Massa che però non salta davanti a Webber. Poi gli ingegneri non attendono i dati della pista e temendo un degrado maggiore delle morbide, chissà perché questa mancanza di fiducia visto che nessuno aveva problemi, richiamano a sorpresa Alonso (16° giro). Lo spagnolo cade in piena bagarre: 11° davanti a Webber. Solo adesso il pilota della bibita ha realizzato che il suo pit stop non era un aiuto, ma un modo per lasciarlo indietro e al tempo stesso tendere una trappola alla Ferrari che per paura ha abboccato. La frittata è fatta. Infatti a Yas Marina è impossibile superare, il traffico equivale a sconfitta specie se hai una vettura con molto carico e una bassa velocità di punta. Era impossibile per Alonso attaccare Petrov che con la Renault al contrario toccava i 317 km/h contro i 308 della Rossa. Stesso motivo per cui Massa non ha mai superato Alguersari. Dunque ricapitoliamo: errore in qualifica e in partenza, sbagli madornali nella strategia, traffico condizionante, con le Renault involontarie arbitri dell'alloro, bye bye Mondiale. La controprova è nelle soste intorno a metà gara di Hamilton e Vettel. Kubica fa da tappo all'inglese finché non si ferma, poi Lewis è di nuovo secondo, mentre il neo campione torna primo non appena Button finisce il lungo stint e cambia le gomme. La macchina con le ali danzava allegra da un cordolo all'altro nella parte guidata del circuito, il suo condottiero ha tagliato il traguardo scuotendo incredulo il casco. Non poteva credere al suicidio sportivo degli avversari.

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