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L'aquila sul tetto indica la via

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Giuroche quando ho acceso la televisione e l'ho vista sulle nervature d'acciaio che reggono la copertura dello stadio, m'è preso un colpo. Mancavano pochi secondi al fischio d'avvio e mi ero perso il volo bislacco e incompiuto che l'aveva portata fin lassù, spezzando il magico rituale dei tre giri. Per cui ho pensato: ecco fatto, qui non solo è andato storto il rito propiziatorio ma Olympia sta addirittura meditando la fuga. Adesso s'invola verso Monte Mario, e poi chissà dove proseguirà la sua caccia... Non la rivedremo mai più, e porteremo un'altra cicatrice sulla nostra anima sfregiata dal destino. Invece non avevo capito niente. Perché issandosi fin lassù, e poi inclinando verso il basso il bianco capo per dardeggiare il popolo laziale con lo sguardo fiero, Olympia ci stava trasmettendo a modo suo ben altro messaggio. Ci stava dicendo: non accontentatevi delle solite cose, non rammolitevi nelle routine, guardate in alto! Più si guarda in alto e più si sale. Fate come me, e vedrete quanto può apparire piccolo e lontano il resto del mondo. Anziché abbandonarci a noi stessi e al nostro sfigatissimo karma, il simbolo vivente della verità che si nasconde nella massima «la fortuna aiuta gli audaci» era insomma volteggiato lassù per mostrarci il cammino (anzi: il Cammino con la C maiuscola). Tant'è vero che, assieme, lei e la squadra biancoceleste hanno ieri ribaltato la tradizione avversa e avuto ragione della bestia nera-Cagliari proprio grazie a un mix senza precedenti di coraggio, di bel gioco e di culo. Dicono che al 34° minuto, cioè a fantasmagorico scrucchio Mauri-Floccari-gol già avvenuto ma prima dell'ancor più fantasmagorico scrucchio Floccari-Mauri-gol, il falconiere arrampicatosi fin sul tetto sia riuscito a convincere Olympia a tornare con lui sulla Terra. Dicono, ma io non ci credo. Olympia e la Lazio sono ancora lassù, e adesso mettono davvero paura a chi li guarda dal basso.

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