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Quelle verità scomode sul doping

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Alberto Contador

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La verità è così, è esigente, è pesante, va gestita in un certo modo. Quando sfugge di bocca a qualche anima candida, bisogna affrettarsi a fruirne, prima che prevalga nuovamente la nomenklatura. Di sicuro, al procuratore nazionale antidoping, Ettore Torri, di bocca è sfuggito un concetto piuttosto pesantuccio da digerire, ovvero che i ciclisti sono tutti dopati, e che se il doping non facesse male alla salute, andrebbe legalizzato, per evitare l'ingiustizia dell'unico beccato tra 100 dopati che la fanno franca. Si sono offesi in tanti, nel ciclismo, e Torri ha pure ritrattato (ma solo la parte relativa alla legalizzazione... il resto è quindi confermato!), anche se, fatto 30, poteva fare 31. In che modo? Per dire, c'è chi è convinto che se nelle altre discipline ci fossero i controlli del ciclismo, potremmo contestualizzare meglio le cose, e capire veramente chi si dopa di più e chi di meno; l'onestà intellettuale di Torri dovrebbe per questo portarlo a sostituire la parolina «ciclismo» con «sport». Ma lo farà, questo 31? C'è qualche dubbio in merito, visto che intanto ieri mattina, nel vertice con i vertici del Coni si è fatto ri-dettare una linea più blanda (l'aveva scordata?). Quindi la sarabanda può continuare, ci sarà sempre qualche singolo convinto di poter battere il doping, e tutti gli altri intorno continueranno invece a sapere di doverci convivere (e non è una brutta convivenza, in fondo le medaglie arrivano, e in caso di guai, chi ne va di mezzo son solo gli atleti), e di dover continuare a fornire la verità di comodo, secondo cui «la lotta è dura ma non ci fa paura», e anzi «siamo a buon punto nel fare pulizia». In realtà, come ha detto il buon Torri prima di abiurare, non siamo affatto vicini a sconfiggere il doping. Ci piace solo crederlo.

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