Cari tifosi laziali godiamo la dolcezza di un periodo magico
Pernoi laziali questi sono i giorni del vino e delle rose, giorni che trasudano miele come un favo spugnoso. Godiamoceli, finché dura: tanto lo sappiamo che non durerà. Non durerà perché noi siamo della Lazio, troppo signori e troppo geneticamente sfortunati, e perché se anche per una volta le umane debolezze e la sfortuna non si mettessero di traverso ci penserebbero comunque i «poteri forti» a ricacciarci per via giudiziaria là dove il nostro virtuoso esempio la smetterebbe di suonare a condanna di quanti vivono e prosperano nel calcio tutto fumo e debiti che va per la maggiore. Godiamocela, la serena dolcezza di questi giorni, ma facciamolo soltanto fra di noi. Ignoriamo le impudiche sirene dei voltagabbana che oggi si sperticano in lodi per il «modello Lazio» dopo aver sparlato di Lotito e della squadra fino a un mese fa, pronti naturalmente a rimangiarsi tutto ancora una volta quando le cose andranno peggio. La loro sfacciata ipocrisia non deve farci né caldo né freddo. E ignoriamo, pur se mi rendo conto che è un po' più difficile, l'accondiscendenza e i sorrisetti beffardi con i quali gli opinionisti fiancheggiatori delle «grandi» tradizionali - che non avrebbero mai il coraggio di rivolgersi con quel tono un po' "a cojonella" a un Moratti o a un Galliani, per non parlare di un Mourinho o un Lippi - danno la parola in tv a Lotito o a Reja. Nei confronti di questi signori deve bastarci la consapevolezza che la nostra semplice, per quanto momentanea, grandezza gli sta comunque annodando dolorosamente le viscere. Godiamoci il primato, e l'abissale vantaggio sulla Roma, finché i campi pesanti non metteranno a nudo la carenza di muscoli e centimetri che rappresenta il peccato originale di questa squadra. E godiamoci il successo apparentemente più grande e difficile di tutti gli altri: l'aver fatto di Lotito un presidente-modello, attento ai conti ma anche alle aspirazioni dei tifosi, magniloquente ma non più iperloquace, razionale ma sensibile al valore dei sentimenti e dei simboli. Godiamoci i voli di Olimpia, l'aquila del nostro orgoglio, e rallegriamoci che sia stata battezzata con questo nome anziché con quello, prosaico e plebeo, di Vittoria. Perché per noi laziali l'importante è proprio il volare, non il vincere, e il cielo è un luogo dell'anima, non un posto sopra a tutti gli altri posti.