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Quel ragazzo rinato dopo aver toccato il fondo

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Afarmi dubitare non erano, infatti, valutazioni di natura tecnica sul conto della F10 (che è sempre stata una buona macchina e che da qualche corsa è anche diventata la più versatile) ma una progressiva perdita di fiducia nelle capacità di Fernando Alonso, incappato in una serie di erroracci da emotività talmente gravi da lasciar pensare che, quanto meno, il peso di guidare per la Ferrari si fosse rivelato eccessivo persino per le sue spalle, ampie, sì, ma pur sempre latine. Invece, toccato il fondo a Spa, Alonso sembra essersi liberato da un peso, come certi tennisti che cominciano a giocare bene solo quando devono annullare i match-point. E adesso picchia talmente forte che c'è soltanto da augurarsi non gli torni il braccino allorché sarà lui a servire per il match. Due pole e due vittorie consecutive sono un bottino sbalorditivo, specie perché ottenute in situazioni tecniche agli antipodi. Intendiamoci, Alonso non è stato impeccabile né a Monza, dove rischiò di compromettere tutto facendosi scavalcare in partenza, né a Singapore, dove è ancora una volta partito malino e poi è incappato in un paio di sbavature da brivido. Però è parso se non altro in grado non solo di reagire con grinta agli errori dopo averli commessi ma anche, e soprattutto, di tornare a esercitare una formidabile pressione psicologica sugli avversari. È pure così, a causa della consapevolezza che Fernando ci sta di nuovo con la testa, che si spiegano i balbettii e le incertezze dei rivali. I quali, a turno, stanno commettendo quelle nefandezze senza le quali la rimonta del ferrarista sarebbe stata come minimo meno impetuosa in termini di punti. Mi riferisco soprattutto a Hamilton, che a Singapore, prima ritardando troppo il pit stop e poi tentando un impossibile sorpasso all'esterno, ha collezionato il terzo ritiro nelle ultime quattro corse. Di certo l'inglese paga la coscienza di dover andare oltre i limiti per non soccombere a macchine più veloci della sua McLaren, ma la dissennatezza con la quale ha osato l'inosabile prima a Monza e poi ieri sembra denunciare una regressione mentale al 2007, l'anno in cui regalò il titolo alla Ferrari di Raikkonen dissipando 18 punti di vantaggio negli ultimi due gran premi. Anche se ripetersi è da vecchi tromboni, insomma, mi sembra che la magica notte equatoriale di Singapore abbia confermato quanto ho già avuto modo di scrivere: quest'anno, chiunque vinca, il titolo non andrà al pilota più bravo ma a quello meno somaro.

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