Nessuno tocchi il simbolo del nostro tifo
Avete mai volato su un aliante o su un deltaplano senza motore, usando le correnti d'aria per volteggiare in cielo, vicino al sole e lontano da tutto il resto, ebbri di solitudine? Ridotto a distante miniatura, il mondo là sotto perde sostanza. La realtà è fatta di vento, e in quell'esaltante silenzio è possibile, finalmente, tornare a sentire la voce della propria anima. Ho sempre pensato che ogni laziale dovrebbe avere la fortuna di vivere almeno una volta un'esperienza del genere. Perché quello è anche il modo di volare dell'aquila, il maestoso simbolo della romanità non a caso scelto dai Padri fondatori per dare un corpo alla lazialità. Ed esattamente a questo ogni laziale degno di tale nome dovrebbe aspirare: cavalcare il vento e guardare in su, lasciando agli altri le miserie terrene. È proprio per questo che, ve lo confesso, più che l'incredibile manicomio scatenatosi in risposta all'intelligente iniziativa di Lotito a scandalizzarmi è il fatto che un po' mi ci arrabbio e un po' mi ci viene da ridere. Un vero laziale dovrebbe – è proprio il caso di dirlo – sorvolare. Invece eccomi qua, tentato dall'invettiva e, insieme, dal cazzeggio, uniche risposte plebee che meriterebbe il delirio esibizionistico di questi italianissimi paladini del nulla, impegnati in una gara a chi la spara più grossa contro un innocuo volo d'aquila. Così faccio una sorta di zapping mentale fra tutte le cose che questa grottesca vicenda mi suggerisce. Il ricordo di quando lavoravo alla Ferrari e ci fu impedito in extremis di rispondere all'appello dei tifosi siciliani andando a fare dei test sul circuito di Pergusa (Enna) perché il rumore delle Formula 1 avrebbe disturbato la nidificazione di non so quale specie di aironi. La considerazione che nessuno s'è sognato di aprire bocca in difesa dei poveri cavalli quando la Roma ha chiesto, e naturalmente ottenuto, di fare una corsa di bighe dentro l'Olimpico per celebrare – pensate un po' – l'addio di quell'indimenticabile campione di Candela. La curiosità di scoprire se è vero che Lotito s'è sentito male quando ha visto il conto del macellaio che fornisce i pasti – filetto, pollame e salmone – alla verde e lussuosa residenza formelliana dove l'aquila in questione fa vita da pascià. La certezza che quelli ai quali questa cosa va meno giù sono i romanisti, vistisi una volta tanto rovinosamente sconfitti dalla Lazio sul terreno della comunicazione. E il conseguente terrore che le frasi tipo «Vedemo si ciàvete er coraggio de falla vola' ner derby, così je sparamo!» non siano soltanto battutacce da radio privata. L'ilarità suscitata da quel tizio della Lav il quale dice di temere che l'aquila faccia strage di altri uccelli dentro allo Stadio Olimpico. Insomma, un velenoso rimuginare indegno di un laziale. Per cui mi faccio forza e cerco di spiccare il volo come stasera farà Olimpia (o Libera? Il nome sarà deciso all'ultimo secondo, e a me vanno bene entrambi), e poi volteggiare almeno spiritualmente sulle piccolezze dei tanti, troppi poveracci condannati a vivere in branco come i lupi e a non capire la lazialità.