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Ai nostri arbitri serve tecnologia

Totti parla con l'arbitro Damato in Roma Sampdoria

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L'impressione è che il calcio italiano abbia affrontato questi ultimi campionati senza un limpido progetto organizzativo, preoccupandosi solo di garantirsi quanti più diritti televisivi e plausi mediatici fosse possibile. Due obiettivi, intendiamoci, assolutamente legittimi e condivisibili ma che, per essere conseguiti in modo costruttivo, esigono una gestione razionale, non l'improvvisazione del momento. Per dirne una, non si può approvare un calendario che impone una partita ogni tre giorni e la scelta degli orari più stravaganti magari nei giorni meno adatti (le notturne quando fa freddo o gli appuntamenti a mezzogiorno quando fa caldo) senza adeguare alle esigenze, e diciamolo pure, ai ricatti delle potentissime emittenti televisive, struttura dei club, formazione, terreni di gioco e stadi, armata arbitrale. È un peccato perché il calcio-spettacolo è un'attrattiva formidabile, che ci aiuta anche a sopportare una vita stressante e che riconducendoci a una psicologia un po' infantile, ci solleva da più serie preoccupazioni. Ma deve funzionare, se no ci avvelena e ci agita oltre il sopportabile, com'è avvenuto domenica per colpa di una serie di papere arbitrali da far venire i capelli bianchi, tanto da resuscitare i sospetti di chissà quali intrighi tipo calciopoli. E questo semplicemente perchè il Settore arbitrale della Figc non si è accorto che gli effettivi disponibili nelle due serie nazionali sono assolutamente insufficienti non tanto sul piano tecnico quanto su quello numerico. E sempre in tema di risultati irregolari, la resistenza al ricorso a un minimo di tecnologia, ormai accettata da tutte le altre specialità sportive, è un altro esempio dell'arretratezza organizzativa del calcio-spettacolo. Le conseguenze non sono solo finanziarie ma, naturalmente, anche agonistiche. Se date un'occhiata alla classifica, alla vigilia della 4ª giornata di serie A, ovviamente un turno infra-settimanale, vi accorgerete che dopo circa un mese di gare indigene ed europee regna una confusione indicibile: in testa svettano formazioni provinciali come Cesena, Chievo e Brescia, insieme con il paio di squadroni come Inter e Lazio (felicissima sorpresa di questo torneo), mentre compagini di grandi tradizioni come Fiorentina, Roma, Bologna, remano penosamente in coda. Naturalmente e presumibilmente, si tratta di una condizione passeggera, almeno alla luce della storia del campionato, ma intanto club di sangue blu si sono lasciati sorprendere in partenza per via di una campagna acquisti poco felice, di contrasti interni o ritardi imperdonabili come quello che sta costando così caro alla società di Rosella Sensi, nelle trattative per la cessione del pacchetto azionario. Nel confronto in corso tra lega di serie A e Associazione Calciatori si è aspettato invece che la stagione si inoltrasse prima di affrontare il discorso di fondo che non si può più discutere mentre si gioca il campionato, cioè il rapporto contrattuale con i giocatori. Sappiamo tutti, e se non ce ne fossimo accorti il caso Fiat ce lo avrebbe spiattellato in tutta la sua crudezza, che il momento è difficile particolarmente sul terreno sindacale e che con la ristrettezza dei margini finanziari e dell'occupazione non si scherza, ma il nuovo Presidente della Lega di serie A non può pretendere di imporre uno schema di vincolo contrattuale improntato alle idee di Marchionne quando si gioca tre volte a settimana e uno sciopero dell'Aic può imbrogliare definitivamente calendario e classifiche. Bisogna, insomma, ristabilire un po' di ordine e di logica, se vogliamo rispettare anche la passione della folla per questo gioco.  

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