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Fidatevi di Reja

Edy Reja, allenatore della Lazio

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Se c'è una persona che conosce il Reja allenatore meglio di chiunque altro è lui. Pierpaolo Marino, ex diesse del Napoli, ha vissuto con il tecnico della Lazio una delle avventure più esaltanti di tutta la carriera. Il trittico formato col presidente De Laurentiis ha raccolto la squadra partenopea in serie C e l'ha portata, in quattro anni, fino all'Europa. Poi le strade dei tre si sono divise, ma di quell'esperienza restano il ricordo di un grandissimo feeling e un'amicizia rara nel calcio. Marino, formidabili quegli anni... «Un lavoro d'equipe perfetto, un rapporto simbiotico. Tutte le decisioni venivano prese insieme, e così per ognuno di noi era facile difenderle e crederci fino in fondo». Che Reja ha conosciuto? «Una persona stupenda, dalla grande caratura umana e dalla determinazione infinita. Un lavoratore instancabile che unisce in sé gli stimoli di un ragazzino e l'esperienza trentennale da allenatore». Trentennale, appunto. Ma con poche apparizioni in serie A... «Nella carriera di un allenatore spesso conta il nome che si è fatto da calciatore. Per questo campioni come Mancini o Leonardo in panchina hanno iniziato subito dalla serie A, con squadre importanti. Reja ha fatto la gavetta, partendo dai dilettanti. Non è strano che abbia allenato poco in A, è straordinario che ci sia arrivato guardando da dove era partito». Che tipo di allenatore è Edy Reja? «Un conoscitore di calcio e un grande studioso. Quando arriva la domenica sa anche quanti peli ha l'ultimo dei panchinari della squadra avversaria. Ma non si preoccupa solo di distruggere il gioco altrui. Ha appreso da tutti i tecnici che ha avuto, soprattutto da Galeone. Ma, oltre al gioco arioso, ha saputo anche curare benissimo la fase difensiva. Con il 3-5-2 ha trovato una sintesi perfetta. Potremmo definirlo un difensivista offensivo. Ancora meglio: un offensivista scambiato per catenacciaro. Pensi a come faceva giocare il Napoli: con Hamsik, Lavezzi, Zalayeta e ali aggressive». Ultimamente ha avuto problemi con Zarate. Sa gestire i campioni?  «Di questi tempi è difficile avere il rispetto dei propri figli, figurarsi dei calciatori, che per Reja sono come figli milionari. Ormai i giocatori sono aziende, devono valorizzarsi e questo cozza con il lavoro dell'allenatore che invece deve metterne qualcuno in panchina. Reja passa per un buono, ma in realtà sa usare il bastone come pochi. Per lui il gruppo è sacro. Se Zarate lo segue potrà crescere. Basti pensare a situazioni analoghe vissute con Gargano o Lavezzi». Avrà anche un difetto... «Quando i risultati non arrivano si sente tremendamente responsabile, soffre le sconfitte come fossero solo sue, e allora ha voglia di lasciare tutto. In quei momenti bisogna stargli vicino. Ricordo lunghe notti a Napoli a cercare di convincerlo a non mollare». Gli ha mai parlato da quando è diventato l'allenatore della Lazio? «Quest'anno no, quindi suppongo che stia andando tutto bene. L'anno scorso mi chiamò appena arrivato a Roma. Non conosceva i calciatori, voleva confrontarsi con me. Aveva davvero paura della serie B. Mi disse che le qualità c'erano, ma la squadra aveva perso completamente di vista l'obiettivo. C'era una spaccatura terribile tra calciatori e società». Alla fine l'impresa riuscì.  «La domenica in cui la Lazio vinse a Bologna ero a Padova. Entrai in una basilica e pregai per Edy. Poi gli telefonai e gli dissi: "Tranquillo, vincete". A fine gara mi chiamò per ringraziarmi, anche lui è molto religioso». Dove può arrivare la sua Lazio? «Credo che la società si sia mossa bene sul mercato. Sarà un cliente scomodo per il quarto posto». Cosa pensa di Hernanes? Perché nessuno lo aveva ancora scoperto?  «È un signor giocatore. Non è che fosse nascosto, è che in Brasile c'è un sottobosco enorme di calciatori. Se pensa che ai Mondiali Pato non era neanche convocato...».  Si è parlato spesso di un suo avvicinamento alla Lazio. Cosa c'è di vero? «Sono stato richiesto da tante squadre di cui i giornali non hanno scritto. Ma non dalla Lazio. Mai parlato con Lotito».

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