La Figc riparta da scuole e università
La deprimente stagione del Mundial 2010 si è conclusa, per i colori azzurri, con un'ultima delusione: la Under 19 è stata brutalmente eliminata al primo turno dei campionati europei, ospitati dalla Francia, dopo due sconfitte ed un pareggio. Si è parlato di un "buco generazionale", una formula che piace molto agli studiosi di sociologia, ma questa spiegazione non esaurisce l'argomento ed esige qualche riflessione complementare, anche perchè non possiamo accontentarci di spiegare le sconfitte con la fatalità storica. Il dato di fondo, innegabile, è che nel nostro massimo campionato c'è pochissimo posto non soltanto per i giovani calciatori nati e cresciuti in Italia, ma anche per i loro colleghi adulti: il 42% dei titolari di serie A sono stranieri, se ne contano ben 233. Quattro anni fa, quando vincemmo il quarto titolo mondiale della nostra storia, erano meno: 166. Oggi i giocatori del vivaio militanti nelle 20 compagini di prima scelta rappresentano soltanto il 12,8 del totale, mentre la media europea e del 21. L'unica attenuante di questo deprimente fenomeno è che i giovanotti nostri connazionali costano di più dei loro coetanei di fuori mano, ma è un fenomeno che giustifica fino ad un certo punto la crisi. A dimostrarlo, basterebbe l'indignazione con cui specialmente i club più ricchi hanno reagito al cosidetto "diktat" della FIGC, che ha ridotto ad uno solo l'extracomunitario di nuovo tesseramento per la stagione appena cominciata. Per fortuna, la batosta di Città del Capo ha mosso le acque sia in FIGC che a Coverciano, dove tra Albertini, Baggio e il dottor Fini, si dovrebbe studiare meglio il fenomeno, elaborando le necessarie provvidenze. E cominciando a sfruttare meglio le 60 scuole di calcio giovanile, che pure già esistono nella penisola, orientandosi magari per il modello che è stato applicato in alcuni Paesi europei mediante la creazione di un campionato riserve o qualcosa del genere. La scuola e l'università, potrebbero essere interessate ad un appuntamento di questo tipo che sarebbe prezioso, specialmente per diffondere una cultura dei valori sportivi, a cominciare dal "fair play", prezioso anche nella vita di tutti i giorni, professionale e politica. A quanto pare, a prescindere dalla possibilità di riempire il cosiddetto buco generazionale, si sta imponendo anche ai livelli più alti del calcio italiano, l'esigenza di una riforma che tenga conto sia della crisi finanziaria (da cui è severamente limitata, come constatiamo ogni giorno, la campagna acquisti), sia delle difficoltà organizzative da cui è condizionato il campionato dal momento in cui i famosi "diritti televisivi" hanno congestionato il calendario e dilatato esageratamente il numero delle squadre ammesse a disputare i due massimi campionati. Se al numero elevato (ben 42!) dei club di serie A e B si aggiungono gli impegni paralleli, dalla Coppa Italia a quelle europee, della Nazionale azzurra a quelle degli stranieri militanti nei nostri club, ci si renderà conto delle ragioni di fondo delle difficoltà di gestione di tante società, che spesso si ritrovano con un cospicuo numero di giocatori inutilizzabili, che non si sa a chi cedere in prestito e a quali condizioni. Bisogna proprio cambiare strada.