La fine dei giochi
Società che saltano come tappi di spumante la notte di Capodanno, città importanti senza lo sport preferito per colpa di imprenditori avventurieri: ecco la fotografia dello sport italiano. Qualche eccezione c’è, ma la crisi economica sta mettendo in ginocchio il nostro movimento. È bene precisare che la colpa non è del Coni che pure qualche errore l'ha commesso, ma soprattutto della politica che si ricorda dello sport solo per farsi pubblicità (appuntamento alla prossima medaglia d'oro). Quando, però, c'è da deliberare finanziamenti per rilanciare lo sport nelle scuole, ma davvero, non come è stato fatto finora, non c'è Governo di qualsiasi fazione che non provi a «tagliare». Salvaguardare lo sport è una necessità sociale tanto più che ci si avvia verso un periodo di austerity che colpirà tutti i settori della vita. Ecco perché le 21 società fallite del calcio meritano una riflessione approfondita e non una federazione che riduce il numero degli extracomunitari per mascherare i fallimenti della nazionale. E poi basta con frasi generiche tipo «torniamo a puntare sui vivai» quando è sufficiente sfogliare le rose delle più importanti formazioni Primavera per scoprire che sono zeppe di calciatori non italiani. Insomma, solo spot elettorali, non c'è mai la volontà di riformare il sistema magari toccando qualle Legge '91 che regola lo sport professionistico. Il calcio è scoppiato da tempo per colpa di spese dissennate da parte dei club. E il segnale dato da Moratti che ha annunciato di voler ridurre i costi, certifica la fine dell'eta dell'oro. In tutti gli sport la stessa storia. Nel basket ad esempio ieri non è stata iscritta la Fortitudo Bologna, una delle grandi storiche di questo sport. E la stessa sorte era toccata qualche anno fa alla Virtus Bologna, uno po' la Juve della pallacanestro. A Napoli il basket è sparito così come a Rieti. Nel volley che pure si appresta a vivere emeozioni mondiali tra qualche mese proprio in Italia, due anni fa Roma si autoescluse dalla A1 mentre Milano scelse il fallimento. Altro esempio: a giugno Bologna lotta per salire in A1 e poi non si iscrive ai campionati professionistici. Nel femminile a Jesi non si giocherà a pallavolo e più in generale in tutto il volley si ricorre a fusioni per evitare il peggio ma così facendo si perdono identità storiche. Nel rugby due anni fa hanno mollato la Capitolina e il Calvisano per problemi economici. Quest'anno il Parma (qualificato per la Challenge Cup, la seconda coppa europea per club) era pieno di debiti e si è dovuto fondere con il neo promosso Noceto. Nel prossimo Super10 figurano L'Aquila che non ha un euro, il Rovigo che ogni anno cambia ragione sociale per schivare una montagna di debiti, oltre al Venezia ripescato dopo la «fusione» parmense. Ovunque un caos, sottovalutato dai politici nonostante gli appelli di Petrucci. Fino a quando non si deciderà di rilanciare finalmente lo sport italiano con investimenti importanti a cominiciare dagli impianti nelle scuole.